Il Miraggio Rosso (e Bianco, e Blu).

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A un certo punto cominciammo a pensare che poteva anche funzionare come spettacolo. Dall'altra parte del mondo eleggevano la persona più importante del mondo: chi fosse riuscito a stare sveglio di più sarebbe stato il primo a scoprirlo. Per i giornalisti, soprattutto, era molto eccitante: per noi spettatori molto meno, ma ci lasciavamo contagiare dal loro entusiasmo. 

Col tempo iniziammo a far caso alla liturgia, e come succede sempre ai neofiti non è che riuscissimo sempre a distinguere cos'era accessorio e cos'era fondamentale: per esempio a un certo punto della nottata capitava che il candidato che stava perdendo convocasse una conferenza stampa e riconoscesse pubblicamente la sconfitta: il cosiddetto "concession speech". La cosa aveva un senso più cerimoniale che effettivo: i voti comunque si contavano fino alla fine, e almeno una volta successe pure che un candidato che aveva concesso la vittoria convocasse un'altra conferenza stampa per rimangiarsela, perché i conteggi andavano per la lunga e anzi valeva la pena chiedere i riconteggi. Però questa cosa del "concession speech" ci rimase, chissà perché. Forse perché siamo mediamente italiani progressisti, ovvero votati alla sconfitta fin da piccoli: e il fatto che un candidato la potesse riconoscere con un bel discorso ci affascinava. Questo malgrado il meccanismo reale fosse molto più complesso, se non proprio farraginoso, con passaggi intermedi ancora ottocenteschi (i Grandi Elettori...)

A un certo punto, come accade sempre con le cose americane, ci si è messo di mezzo il cinema o la tv, coi suoi presidenti molto più veri del vero, i discorsi meglio scritti, gli applausi e i violini ai momenti giusti eccetera, e questo ha fatto colpo su molti di noi molto più di quanto lo ammettessimo. Il confronto con la nostra imperfetta democrazia parlamentare, coi suoi ritmi sonnacchiosi e mediocri, non ammetteva appello. In molti dei più impressionabili tra noi si creò ben presto una convinzione: loro non erano solo la democrazia più vecchia del mondo (e le Province Unite?); erano anche la migliore. Ed erano la migliore non perché fossero i migliori a raccontarsela, come pure Hollywood dimostrava, ma perché... la notte delle elezioni, loro conoscevano già il Vincitore. A un certo punto della nottata, ci spiegavano, il candidato che ne stava prendendo troppe gettava la spugna, faceva un bel discorso, l'arbitro alzava il braccio dell'altro contendente, applausi. Guarda che ti sei sbagliato, rispondevamo, guarda che quella sera hai visto un match di boxe: e anche in quel caso non dovresti crederci troppo, c'è sempre una buona parte di spettacolo, a coprire gli aspetti più crudi. Tutto vano, ormai la carovana dei presidenzialisti italiani era partita, attirata da un miraggio televisivo, verso un deserto di imboscate, colpi bassi e referendum. L'America in cui volevano arrivare somigliava più a una puntata di West Wing con tutti gli attori impeccabili e competenti. Laggiù conoscono il vincitore nella notte delle elezioni, dicevano! E parlavano di un Paese in cui conteggi e riconteggi possono durare settimane, tanto che da sempre le elezioni avvengono tre mesi prima dell'insediamento effettivo. Già le elezioni del 2000 avevano dimostrato quanto importante fosse la Corte Suprema; ma forse pensavamo che un senso di decenza non esplicitato in nessuna Carta Costituzionale avrebbe trattenuto un presidente uscente dal blindarla in suo favore. 

Tante cose pensavamo impossibili, che ora si sono avverate. Per esempio stasera abbiamo un candidato che a un certo punto della nottata potrebbe dire che ha vinto anche se non è vero. Uno scenario che Sorkin non aveva previsto, il che ci lascia tutti un po' sgomenti a fissare il vuoto. In un qualche modo sembra che lo Spettacolo abbia preso il sopravvento – una conferenza stampa avrebbe il potere di invalidare scrutini ancora in corso. Il consiglio migliore è sempre quello di andare a letto non troppo tardi: tanto domattina mezz'ora dopo la sveglia ne saprete già quanto quelli che hanno fatto la maratona. Io ovviamente spero che perda Trump, anche se non sono del tutto sicuro che sia la cosa migliore per me in quanto cittadino europeo. In un certo senso il suo primo mandato non poteva dimostrare meglio un vecchio assioma in cui non ho mai smesso di credere, ovvero che l'aggressività esterna sia un modo per scaricare un'energia interiore che altrimenti ci dilanierebbe: credo valga per molte persone e anche per interi popoli. Trump ha ridotto in modo spettacolare l'interventismo delle forze armate USA (senza smettere di finanziarle), e il risultato è un Paese che appare più dilaniato che mai. A questo punto, cosa dovrei desiderare? Quattro anni di tregua con Biden, o lasciare che certi nodi sociali vengano al pettine? Non lo so. Per fortuna non dipende da me. Tra un po' vado a letto e spero di prender sonno. Ho già tanti pensieri, immagino anche voi.  

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E se avesse vinto il Sì? Renzi sarebbe più tranquillo? (No)

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È passato un anno da quando ce la siamo vista bella. L’Italia stava per affondare nel caos e nella recessione. Ricordate? Il 4 dicembre del 2016 gli italiani furono chiamati alle urne: ufficialmente per dare il proprio assenso ad alcune “non lievi” riforme costituzionali, in pratica per scegliere tra il Governo Renzi e la Catastrofe. Ci aveva ben avvertito Confindustria, fin dall’estate precedente: la vittoria del “No” avrebbe causato “il caos politico” e le aste dei titoli di Stato sarebbero andate deserte, con la conseguente crisi di fiducia degli investitori, fuga di capitali, svalutazione dell’Euro, recessione, pioggia di rane, invasione di cavallette. Se tutto questo non è successo, non possiamo che ringraziare la prudenza e il giudizio degli elettori italiani, che tra Renzi e l’Apocalisse hanno scelto… ehm, cos’hanno scelto?



Perché in effetti ha vinto il “No”: a quest’ora le cavallette dovrebbero essere passate da un pezzo. Qualcuno le ha viste? (Ho scritto un pezzo per TheVision: A un anno dal referendum la vittoria del No è stata un disastro solo per Renzi).
Da parte sua Confindustria nel suo ultimo rapporto ha rivisto al rialzo le stime per il PIL italiano (nel 2017 +1,5%; nel 2018 +1,3). “A fine 2018 il PIL recupererà il terreno perduto con la seconda recessione (2011-13)”. Le esportazioni addirittura “volano”, il Made in Italy guadagna quote di mercato, “gli investimenti mostrano un vivace dinamismo”, l’occupazione sale dell’1,1% e di questo passo nel 2018 dovrebbe toccare i massimi storici. Non è tutto rosa e fiori, sia chiaro: l’Italia cresce, ma meno degli altri Paesi della UE; abbiamo quasi otto milioni di disoccupati, troppi dei quali sono giovani. Ma tutto sommato quest’anno Uno dal Referendum poteva andare molto peggio di così. Insomma forse l’anno scorso Confindustria aveva un po’ esagerato. Dopo Renzi non c’è stato il diluvio, ma un passaggio di consegne molto rapido e quasi indolore; Gentiloni gli è subentrato a Palazzo Chigi sostenuto più o meno dalla stessa maggioranza, che nei sondaggi risulta spesso più popolare di Renzi. Altri sondaggi danno il partito di Renzi dietro al M5S, a volte anche dietro Forza Italia. Insomma il 4 dicembre è stata davvero una catastrofe: magari non per l’Italia ma per Renzi e i suoi sostenitori.

La fatidica data va quindi ad aggiungersi al Catalogo delle grandi occasioni perdute del centrosinistra, un volume ormai cospicuo e straziante, che i lettori affezionati non riescono a non riaprire a intervalli regolari, ogni volta che sale quella tipica voglia di piangere sul latte versato – ah, se Bersani non avesse sostenuto il governo Monti. Ah, se il Prodi Due non fosse caduto per un voto. Ah, se Bertinotti non avesse fatto cadere il Prodi Uno. E così via, credo che si possa risalire almeno fino all’Aventino (quello del 1924, ma forse anche quello del 494 aC). Ah, se Renzi avesse vinto il referendum... In che Italia vivremmo adesso? Certo, la Storia non si fa coi Se. Ma in politica non c’è niente di male a sperimentare qualche “Se” ogni tanto. Chiamiamolo esercizio mentale. Se le cose dopo il No al referendum non sono andate malaccio, è lecito sospettare che con un Sì sarebbero andate ancora meglio. Renzi sarebbe rimasto al suo posto e… cosa sarebbe successo, poi? Se lo chiedi a un renzista, ti dipingerà uno scenario idilliaco: Renzi avrebbe finalmente governato indisturbato.

Più che un’ideologia il renzismo è un credo, un atto di fede. Chi lo professa è serenamente convinto che Renzi possa trasformare l’Italia in un Paese migliore. Per farlo, però, Renzi (come tutti i rivoluzionari) deve essere lasciato indisturbato per un impreciso periodo di tempo – niente compromessi, niente volgari coalizioni e ammucchiate, insomma niente democrazia parlamentare (che con l’Italicum si proponeva neanche tanto velatamente di superare). Renzi si realizzerà soltanto nel momento della vittoria totale; e siccome il tizio non è mai riuscito a farsi votare da più di 11 su 50 milioni di elettori italiani, vale la pena di domandarsi se si realizzerà mai. La prospettiva renziana sul post-referendum dipendeva molto da questo assunto: una volta vinto il referendum, Renzi sarebbe diventato super-popolare e imbattibile. Di lì a poco Mattarella (che Renzi fortissimamente volle al Quirinale) avrebbe probabilmente sciolto le camere, di modo che già nella primavera 2017 avremmo avuto la possibilità di votare e di veder trionfare un governo Renzi Due completamente monocolore. Che prospettiva esaltante (per un renziano).

Ma le cose difficilmente sarebbero andate così. Per pensare a uno scenario del genere, non bisogna soltanto credere in Renzi, ma anche che la democrazia contemporanea preveda l’annichilimento dell’avversario. I nemici di Renzi (Berlusconi, Grillo, Bersani, Salvini, insomma tutti), una volta sconfitti al referendum, avrebbero dovuto accettare una resa incondizionata e ritirarsi a vita privata. In democrazia accade spesso il contrario: l’avversario sconfitto non scompare, ma incattivisce. Dietro a Berlusconi, Grillo, Bersani e Salvini ci sono quattro fette di elettorato che difficilmente Renzi avrebbe potuto erodere in pochi mesi - se vi ricordate i toni della campagna di un anno fa si erano fatti piuttosto accesi. Renzi era già l’uomo da battere prima del referendum: dopo il 4 dicembre gli agguati trasversali si sarebbero intensificati. Uno in particolare era già predisposto sul cammino di Renzi: il 25 gennaio del 2017 la Consulta avrebbe dichiarato incostituzionale la legge elettorale inventata da Renzi e Berlusconi al Nazareno, il cosiddetto “Italicum”, e in particolare l’istituzione del ballottaggio nel caso nessuna lista avesse sorpassato il 40% dei suffragi.

In realtà già a dicembre l’Italicum era considerato dagli stessi renziani una legge sorpassata, da modificare al più presto. Non per una serie di obiezioni costituzionali più che fondate, ma perché ormai i sondaggi avevano chiarito che l’Italicum, per come era stato disegnato, rischiava di consegnare una solida maggioranza parlamentare al Movimento Cinque Stelle. Possiamo anche immaginare che Renzi, ebbro del successo appena ottenuto col referendum, decidesse di giocarsi il tutto per tutto in inverno con l’Italicum: ma difficilmente Mattarella avrebbe sciolto le camere a Natale (e in tal caso, comunque, si sarebbe aperta una fase di incertezza politica non molto diversa da quella prospettata da Confindustria in caso di vittoria del No). Più probabilmente, Renzi avrebbe atteso la primavera per rassegnare le dimissioni: e a quel punto la bocciatura dell’Italicum non lo avrebbe mortificato, anzi. Dopo aver vinto il Referendum – quindi dopo aver ottenuto più del 50% dei voti su un quesito costituzionale – Renzi avrebbe senz’altro immaginato di poter ottenere più del 40% dei suffragi alle elezioni anticipate. E quindi? E quindi ci avrebbe portato a votare in primavera.

E avrebbe vinto?

Non possiamo saperlo, ma dobbiamo immaginare a cosa sarebbe successo a quel punto in Italia: di che cosa si sarebbe discusso nei mesi tra la campagna referendaria e quella elettorale. Ma visto che negli ultimi mesi il centrodestra ha puntato tutto sulla cosiddetta emergenza dei rifugiati, azzardiamo un’ipotesi: Berlusconi e Salvini avrebbero fatto la stessa cosa. Storicamente la Lega e Forza Italia insistono sempre sul tema della sicurezza, in campagna elettorale. Bossi proponeva di sparare ai barconi più di dieci anni fa; Berlusconi è meno drastico ma ha sempre chiamato il suo popolo a raccolta contro la minaccia esterna, i comunisti, i musulmani che vogliono invaderci, eccetera. A Renzi sarebbe rimasto il ruolo ingrato di difensore dell’accoglienza: dopotutto fu il suo governo ad accettare la missione Frontex, che prevede che le navi che pattugliano il Mediterraneo portino i profughi in Italia. Renzi sarebbe andato alle elezioni in primavera non solo come l’uomo da battere, ma come l’uomo di Frontex e dello Ius Soli. Avrebbe vinto? Secondo me no, non ce l’avrebbe fatta. Forse avrebbe prevalso su un Berlusconi ancora intorpidito e un Grillo poco intenzionato a governare; forse avrebbe avuto persino il mio voto; ma non avrebbe raggiunto il 40% dei voti. E quindi?

E quindi ci saremmo trovati un altro governo di coalizione, come quello che ci aspetta, probabilmente, nel 2018. Forse avremmo risparmiato un anno. Forse il Pd non si sarebbe spaccato. Ma di sicuro avremmo vissuto un’altra stagione di incertezza, e Confindustria ce l’ha già spiegato: ai mercati l’incertezza non piace.
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Renzi avrebbe vinto, se non fosse Renzi

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Il ragazzo è un missile. 

Qualche mese fa, in un momento di apparente lucidità, Matteo Renzi ammise che la personalizzazione della campagna referendaria era stata un errore. Già al tempo si sapeva come sarebbe andata a finire; già al tempo qualcuno apprezzò quello che sembrava un tentativo di correggere il tiro. Già allora qualcun altro scuoteva la testa - insomma: è Matteo Renzi. Per forza personalizza. Se l'acqua non bagnasse, se il vento non soffiasse, se Matto Renzi non personalizzasse. Cresciuto politicamente tra provincia e comune di Firenze, in una fase in cui partiti e corpi intermedi si ritiravano lasciando spazio a personaggi e personaggetti, Renzi è progettato per vivere ogni battaglia politica nel modo più plebiscitario possibile. O con lui o contro di lui. Del resto è così che si diventa sindaci, che si diventa personaggi mediatici, e forse funziona così anche con le primarie del Pd, ormai. Con palazzo Chigi le regole (per ora) sono un po' diverse, ma forse era un po' tardi per impararle. Prima o poi doveva metterseli tutti contro e andare a sbattere. È anche difficile prendersela con lui, insomma: è fatto così. Lo avevate pur capito che era progettato così. Un missile innescato dai tempi delle prime Leopolde. Non è che possa cambiare traiettoria in corsa, non è che possa imparare un gioco diverso. I missili solo una cosa sanno fare.

A mezzanotte e un quarto, quando ancora il conteggio delle schede era una stima, Matteo Renzi ha voluto salutarci e mostrarci quanta importanza stesse dando davvero al testo costituzionale - perché a quel punto c'era ancora qualcuno che pensava che il referendum fosse sulla Costituzione, sapete. Ha spiegato che è stata colpa sua, tutta sua. Che i suoi elettori non c'entrano. Che ha fatto tante belle cose ma adesso lascia, perché evidentemente qualcuno non lo vuole. Ha fatto il suo concession speech, tanto simile a quello delle primarie di quattro anni fa, perché alla fine nella sua testa il politico è quella figura americana che ammette le sconfitte a conteggi in corso. Tra qualche tempo forse riuscirà più evidente l'assurdità della cosa: sulla scheda non c'era scritto Renzi, non c'era scritto PD, non c'era scritto Cambia Verso Rottamiamo i Professoroni. C'era un quesito costituzionale. Ma per Renzi le croci sul No erano contro di lui e queste è l'unica cosa che importi: lui. Se l'acqua non bagnasse, se il vento non soffiasse, forse sarebbe andata in un modo diverso.

È la fine della sua carriera? A occhio non sembra, anzi. Non fosse Renzi, avrebbe di che festeggiare, e non è escluso che in privato non lo abbia fatto. Alle europee di due anni fa il PD di Renzi valeva 11 milioni: il 40%. Dopo due anni di governo, con un logoramento inevitabile, senza una parte importante del PD, è riuscito a ottenere il Sì di tredici milioni di italiani. Insomma si tratterebbe di una vittoria, da spartire con alleati evanescenti (Alfano? Verdini?) che difficilmente avranno portato al mulino un milione di elettori in tutto. I sostenitori del Sì e i renziani più o meno entusiasti avrebbero di che festeggiare per un risultato che attesta la popolarità del loro leader, collocandolo al centro dell'arco costituzionale con un pacchetto di consensi che non si sta consumando col tempo. Avrebbero avuto più di un motivo di reclamare un risultato che dice, semplicemente, che qualsiasi futura maggioranza di governo dovrà fare i conti con loro.

Ma non sarebbero stati renziani. Non starebbero vivendo questi anni di governo come il talent show del giovane primo ministro contro tutti. Sir Robert Baden-Powell, il fondatore dello scoutismo, proponeva di lasciare il mondo migliore di come lo avessimo trovato. Renzi lascia il PD devastato, il principale movimento di opposizione più compatto che mai, la scuola disorientata, il mondo del lavoro in stagnazione e un sistema bancario sull'orlo del baratro. Qualcun altro si sarebbe sentito responsabile per tutto questo. Qualcun altro avrebbe cercato di evitare una consultazione referendaria, magari cercando di far passare qualche riforma attraverso la maggioranza qualificata del parlamento. Se non avesse funzionato, qualcun altro avrebbe potuto almeno recepire le critiche che arrivavano da costituzionalisti insigni e da membri del suo stesso partito. Infine, qualcun altro avrebbe potuto sganciarsi davvero dalla campagna, magari scaricandola sulle spalle della sua ministra delle Riforme, che nessuno considera una bella statuina; qualcuno potrebbe aver mantenuto un profilo super partes, dopotutto è già successo che una maggioranza perdesse un referendum e non è stata la fine di quella maggioranza. Qualcuno avrebbe potuto non essere Matteo Renzi, ma è andata così.

E adesso che succede? Forse niente. Le borse che dovevano crollare sono state calme, confermando che il dramma è tutto televisivo. Matteo Renzi ha finito la sua campagna, Matteo Renzi ha promesso soldi a tutti, cartelle di Equitalia condonate e ponti sugli stretti di Messina, ora l'intervallo è finito. C'è per l'ennesima volta da trovare la quadra a un bilancio difficile, c'è da affidare l'incarico all'ennesimo tizio grigio che alzerà le tasse e si farà odiare da tutti. Renzi se ne torna a casa a contare il suo gruzzolo di Sì, ad aspettare il momento in cui tutti lo rimpiangeremo. Non è escluso che non succeda molto presto, persino a me.

Vorrà dire che tra qualche mese o anno, complice il susseguirsi degli eventi o il rincoglionimento, mi sarò dimenticato quel piccolo dettaglio: il ragazzo è un missile. Forse non sarà per sempre un ragazzo. Forse un giorno imparerà a non andare dritto come un missile. Forse. Ma a quel punto forse è meglio provare qualcos'altro. E la vecchia domanda: ma come andò quella volta, ma chi si mise in testa per primo che quel missile sarebbe stato un ottimo segretario del Pd, un ottimo presidente del Consiglio? Non si vedeva che era un missile? E i missili solo una cosa sanno fare. Magari anche bene, eh. Ma solo una.
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Tra due dinosauri, scegli quello in via d'estinzione: vota NO.

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21) Poi c'è chi voterà Sì ben sapendo che si tratta di una riforma brutta, scritta male, che probabilmente complicherà le cose, rendendo il clima politico ancora meno respirabile, ma l'alternativa è peggio, perché l'alternativa sarebbe... D'Alema. O Berlusconi. Insomma i vecchi.

Che è un po' la storia che il Sì ha cercato in tutti i modi di raccontare nelle ultime settimane, quelle in cui Renzi, potendo scegliersi un avversario da talk show, ha optato per Ciriaco De Mita. Contro di noi c'è l'accozzaglia, contro di noi i pensionati, contro di noi i dinosauri. Restando nel campo della buona fede, prendiamo Francesco Costa:

Cos’altro succederebbe con una vittoria del No? Un’intera anziana e vastissima generazione politica si guadagnerebbe il diritto a un ultimo giro di giostra: da Brunetta a D’Alema, da Bersani a Berlusconi, da Maroni a Monti, da Gasparri a Fassina, persone che hanno fatto in modi diversi la storia della Seconda Repubblica e ora sono sul punto di uscirne, come fisiologicamente accade in ogni democrazia, conquisterebbero nuova centralità e vitalità nei loro partiti e quindi nel paese. Lo dico a prescindere dal giudizio nei loro confronti: è un fatto che alle successive elezioni bisognerebbe ancora, di nuovo, fare i conti con loro.

22) Il momento in cui i renziani hanno sorpassato
a destra la Casaleggio, occupando pagine di facebook
con meme beceri creati per l'occasione
(vedi Leonardo Bianchi su Vice).  Che a pensarci
è già un altro ottimo motivo per votare No. 
Questo argomento immagino abbia sicura presa coi trentenni, specie se cognitari: gente che tutti i giorni si misura nel luogo di lavoro con capi incompetenti che hanno il doppio della loro età (ehm no, non è il caso di Costa, ma per capirci). Cosa potrei obiettare? Secondo me non è vero: non vedremo D'Alema, Monti o Bersani in primo piano alle prossime elezioni. Non funzionerebbero - non credo stiano funzionando nemmeno adesso, non sono loro a spingere il No: al massimo sono un bersaglio comodo per la propaganda del Sì. Berlusconi è un discorso a parte, per gli interessi dell'azienda che rappresenta (e che gli sopravviverà). Ma alla fine non è tanto questo il problema.

Fingiamo che davvero ci sia una lotta generazionale, dinosauri contro rottamatori; fingiamo che tutto si decida conquistando i ventenni e i trentenni, ebbene: cari ventenni, cari trentenni, pensateci bene. Tra il dinosauro in via d'estinzione e quello che ha la vostra stessa età, con chi scegliete di combattere?

Sul serio: da una parte gente che ormai ha dato tutto quello che doveva dare. Bersani non dirigerà più il Pd, Monti non è più un nome spendibile per Palazzo Chigi. Berlusconi al limite può fare ancora il kingmaker, con esiti per ora mediocri. Ma Renzi, se lo votate, non ve lo levate più dal groppone. Fin qui l'anagrafe giocava dalla vostra parte, ma (cari trentenni) non sarà sempre così.

Ok, siete abituati a misurarvi nel luogo di lavoro, tutti i giorni, con colleghi e superiori incompetenti più vecchi di voi. Ma fateci caso: cominciano a farvi posto. Cominciano a chiedervi come funziona la tal procedura, perché ormai è innegabile che siate più svelti. Cominciano ad andarsene in pensione. E tra un po' se ne saranno andati tutti. Ma siate sinceri: il clima sta migliorando? Guardatevi attorno: non li vedete i trenta-quarantenni arroganti, quelli convinti di aver capito le cose meglio di voi, quelli che combinano casini pasticciando con le procedure e poi cercano di addossare la colpa a qualcun altro - magari a voi? Quelli che si credono d'aver capito qualcosa, quelli che pensano di poterla spiegare a tutti, quelli in pensione non ci andranno per un pezzo? Capace che vi ci mandino voi. Quelli, se non vi date da fare, ve li tenete finché campate.

Lo so che è uno choc. Fin qui qualsiasi persona odiosa, qualsiasi coglione, per quanto insopportabile, aveva pure una data di scadenza. C'era qualcosa di irresistibilmente comico nella deriva senile di Berlusconi: da una parte le faceva enormi, dall'altra si capiva che non sarebbe durato. Ma avete dato un'occhiata a Renzi, alla Boschi? Quelli non scadranno ancora per tanto, tanto tempo. E vi dicono che dovete scegliere: o loro o quelli vecchi. Io non avrei dubbi, davvero. Di motivi per votare No ne ho tanti altri, e un po' più seri: ma se è una questione generazionale, si risolve alla svelta. Tra due prede da inseguire, sempre scegliere quella stanca e ferita. Tra due nemici, sempre guardarsi dal più giovane e in forze. Lasciate che i morti seppelliscano i morti e votate No.

Gli altri motivi:

1. Non si riscrive la carta costituzionale col martello pneumatico.
2. Non si usa una brutta legge elettorale come moneta di scambio.
3. Non mi piacciono le riforme semipresidenziali.
4. Meglio un Renzi sconfitto oggi che un Renzi sconfitto domani
5. Mandare 21 sindaci al senato è una stronzata pazzesca
6. Mandare sindaci al senato è davvero una stronzata pazzesca.
7. Nel nuovo Senato alcune Regioni saranno super-rappresentate, ai danni di altre
8. Si poteva scrivere meglio, ma non hanno voluto.
9. Di leggi ne scriviamo già troppe: non abbiamo bisogno di scriverne di più e più in fretta, ma di farle rispettare
10. Il numero di firme necessarie per richiedere un referendum abrogativo va aumentato e basta
11. Non è vero che sarà più facile approvare leggi di iniziativa popolare, non fate i furbi.
12. Dio ci scampi dai referendum propositivi.
13. Il Presidente della Repubblica non sarà necessariamente una figura sopra le parti.
14. Gli abitanti delle città metropolitane non avranno il diritto di eleggere i loro rappresentanti? Ma siete scemi?
15. Chi abolisce le Province non capisce il territorio.
16. Se passa la riforma, per un po' ce la dovremo tenere; se non passa, possiamo subito proporne una migliore
17. Perché non vorresti mai darmi ragione.
18. Perché "NO" almeno sai come si scrive
19. Se vuoi risparmiare taglia le poltrone; costringere sindaci e consiglieri a sedere su più poltrone contemporaneamente è una cattiva gestione delle risorse.
20. Perché anche se vincesse il Sì, la riforma non sarà stata approvata dalla maggioranza dei cittadini.
21. Perché tra due generazioni di dirigenti poco capaci, la più pericolosa è quella giovane e ancora in sella.
22. Perché la propaganda renziana è scesa a livelli intollerabili.
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Un quinto degli italiani ha il diritto di cambiare la Costituzione di tutti?

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20) Ok, domani si vota. So che non vedete l'ora. E mettiamo che il Sì vinca, ma di misura. Sarà tutto regolare?

No, non sto parlando di brogli. C'è un problema un po' più grosso, ovvero: quanto sarà credibile una vittoria del Sì, se al referendum non votassero in tanti?

Immaginatevi la situazione. Mettiamo che vada a votare meno del 50% degli aventi diritto - una stima anche ottimista, considerando gli ultimi referendum: diciamo venti milioni di italiani. Mettiamo che il Sì prevalga di poco, come suggeriscono alcuni sondaggi (che sbagliano sempre). Diciamo 11 milioni, in linea con le europee del 2014 (due anni dopo Renzi non sembra altrettanto popolare, ma ultimamente s'è speso molto, anche in tv - anche se forse la tv non serve, e tuttavia). Cosa succederà?

Tecnicamente sarà tutto regolare: undici milioni di italiani avranno ratificato la riforma Renzi-Boschi. Fine della storia.

Politicamente, sarà lo strappo definitivo. Milioni di italiani non accetteranno il risultato. Vuoi per tigna, vuoi per livore antipolitico. Ma anche per una questione di buonsenso.

Vi ricordo che la consultazione referendaria è necessaria perché la riforma, in Parlamento, non è passata con la maggioranza qualificata richiesta (2/3 dei votanti). Aggiungiamo che l'attuale parlamento è stato eletto con una legge elettorale incostituzionale. Questo non significa che sia illegittimo: nella stessa sentenza la Corte lo ha escluso, in virtù del "principio fondamentale della continuità dello Stato": nell'attesa di una legge elettorale finalmente costituzionale (attesa che si sta rivelando un po' faticosa), un parlamento deve pur esistere, e quindi ci teniamo quello eletto incostituzionalmente. Forse non era il parlamento più adatto per modificare così profondamente la Costituzione, ma Napolitano ci teneva tanto, Renzi pensava di potercela fare, e così eccoci qui.

Ricordiamo en passant che lo stesso Renzi governa con una maggioranza che al momento delle elezioni non esisteva, dato che non esistevano i partiti che la compongono; quello di Alfano, quello di Verdini (che adesso non so più come si chiamino) e il PD di Renzi - quest'ultimo, sì, esisteva, ed aveva pure vinto il super-premio di maggioranza alla Camera, ma presenandosi alle elezioni del '13 con un programma diverso, e un altro leader (Bersani): Renzi era stato sconfitto alle primarie e non s'era nemmeno candidato alle politiche.

Ricapitolando: c'è un parlamento eletto con una legge incostituzionale, che può legiferare soltanto perché finché non scrive una legge costituzionale non ci può essere un altro parlamento più legittimo. C'è un governo che è espressione di una maggioranza composta da partiti che alle elezioni non si sono nemmeno presentati. Il suo leader può contare su una maggioranza, alla Camera, grazie a un premio elettorale (incostituzionale) conquistato dal suo predecessore, che non ne condivideva le idee e i progetti di riforma costituzionale. Questo nuovo giovane leader, invece di limitarsi a far riscrivere una legge il più costituzionale possibile e rassegnare le dimissioni, auspicando lo scioglimento del parlamento... decide di presentare allo stesso parlamento la riforma costituzionale più radicale dal 1946. Servono però i due terzi dei parlamentari: ce li ha? No. Malgrado il super-premio (incostituzionale), malgrado le alleanze (strette dopo le elezioni con partiti che non si erano nemmeno presentati), Renzi quei due terzi non ce li ha. E allora chiede di indire un referendum propositivo.

Il referendum lava più bianco: non importa quanto sia raffazzonata e trasformista la compagine che sostiene Renzi: non importa che provenga da un parlamento eletto incostituzionalmente, perché a questo punto la palla passa ai cittadini. Se più della maggioranza degli elettori troverà buona la riforma Renzi-Boschi, il fatto che sia stata scritta da gente arrivata al governo un po' per caso non avrà più importanza. Più che la Renzi-Boschi, sarà la riforma del popolo italiano. Tutto bene? Insomma.

C'è un piccolo intoppo. Il referendum propositivo non ha il quorum. 11 milioni di italiani potrebbero reclamare il diritto di cambiare la Costituzione per gli altri 50 (per altri 40 di aventi diritto). Vi sembra giusto? A milioni di italiani non sembrerà giusto. Non lo accetteranno. Potrete sempre inveire contro di loro sui social: trattarli da ignoranti che non capiscono la democrazia.

Dove la democrazia è quella cosa che secondo voi funzionerebbe così: un parlamento eletto con una legge incostituzionale, invece di scriverne un'altra costituzionale e sciogliersi, vota la fiducia al governo diretto da un tizio che non ha vinto le elezioni - era opposizione interna nel partito che le ha pareggiate, non si è neanche candidato - e approva (ma senza maggioranza qualificata) una riforma costituzionale voluta da costui: la stessa riforma viene poi confermata mediante referendum da... un cittadino su quattro. Ma siete proprio sicuri che la democrazia sia ancora questa cosa qui? Siete sicuri che i grillini, oltre a essere beceri, ignoranti, livorosi, non abbiano semplicemente ragione?

Nel dubbio, fossi in voi, voterei No. Magari la prossima volta si fa una riforma più condivisa.

(Gli altri motivi:

1. Non si riscrive la carta costituzionale col martello pneumatico.
2. Non si usa una brutta legge elettorale come moneta di scambio.
3. Non mi piacciono le riforme semipresidenziali.
4. Meglio un Renzi sconfitto oggi che un Renzi sconfitto domani
5. Mandare 21 sindaci al senato è una stronzata pazzesca
6. Mandare sindaci al senato è davvero una stronzata pazzesca.
7. Nel nuovo Senato alcune Regioni saranno super-rappresentate, ai danni di altre
8. Si poteva scrivere meglio, ma non hanno voluto.
9. Di leggi ne scriviamo già troppe: non abbiamo bisogno di scriverne di più e più in fretta, ma di farle rispettare
10. Il numero di firme necessarie per richiedere un referendum abrogativo va aumentato e basta
11. Non è vero che sarà più facile approvare leggi di iniziativa popolare, non fate i furbi.
12. Dio ci scampi dai referendum propositivi.
13. Il Presidente della Repubblica non sarà necessariamente una figura sopra le parti.
14. Gli abitanti delle città metropolitane non avranno il diritto di eleggere i loro rappresentanti? Ma siete scemi?
15. Chi abolisce le Province non capisce il territorio.
16. Se passa la riforma, per un po' ce la dovremo tenere; se non passa, possiamo subito proporne una migliore
17. Perché non vorresti mai darmi ragione.
18. Perché "NO" almeno sai come si scrive
19. Se vuoi risparmiare taglia le poltrone; costringere sindaci e consiglieri a sedere su più poltrone contemporaneamente è una cattiva gestione delle risorse.
20. Perché anche se vincesse il Sì, la riforma non sarà stata approvata dalla maggioranza dei cittadini).
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Se vuoi davvero risparmiare, taglia le poltrone, Matteo Renzi

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19) Ma è il modo di risparmiare?

La riforma in sé ormai non la difende nessuno. Nessuno riesce a parlarne bene restando serio. Romano Prodi ha deciso che vota sì "anche se le riforme proposte non hanno certo la profondità e la chiarezza necessarie", che è un modo neanche troppo garbato per dire che le riforme proposte sono troppo superficiali e per niente chiare. Epperò tanta gente le voterà, perché... così si risparmia.

Adesso, onestamente: se il boss di un'azienda con  milioni di
dipendenti vi dicesse che la sua ricetta salvacrisi è un taglio
di 215 posti, non gli ridereste in faccia?
E a questo punto dovrei mettere anch'io mano alla calcolatrice e mostrare che no, non si risparmia così tanto, e che molti numeri messi in giro da Renzi sono falsi e dettati da un'ansia che assomiglia molto alla disperazione. Che è il problema di chi si gioca sempre tutto: a un certo punto vorrà fregarti. Non è colpa sua, ma ha moglie, figli, un Paese intero sul groppone, te la puoi prendere se alla voce "abolizione del Cnel" conteggia anche i costi di gestione dell'edificio? Un bel palazzo liberty, secondo voi dal giorno dopo lo chiudono e non mandano neanche un inserviente a pulire ogni tanto? Luce, riscaldamento, ci stai dicendo che tagli le utenze? Ma per chi ci hai preso? Eh, ma qui o si fa l'Italia o si muore, per cui sorbitevi questa e altre puttanate. Vabbe'.

I conti qualcuno li ha fatti davvero, e con un po' di fatica potete trovarli anche voi. Con questa riforma si risparmierà, ma non tanto quanto sta promettendo Renzi. Piuttosto di buttar giù una tabella, preferirei aggiungere una riflessione: c'è modo e modo di risparmiare. Pensi che il parlamento costi troppo? Taglia i seggi. Dimezzali. Metà parlamentari, metà gettoni, metà rimborsi-indennità-eccetera. Chiudi il senato e trasforma Palazzo Madama in un museo della politica italiana. Metti il biglietto a cinque euro e a fine anno forse hai anche coperto il riscaldamento. Facile.

Ma a Renzi non piacciono le cose facili. Piacciono queste cose un po' lambiccate da manager del consiglio parrocchiale. Invece di tagliare i senatori, offre lo stesso incarico a chi ne ha giù uno. Da qui in poi saranno tutti consiglieri e sindaci, e quindi un mensile l'avranno già. Che gran pensata.

Mi ricorda certi ambienti in cui ho lavorato. C'è bisogno di una figura professionale nuova? Dovremmo assumerlo. Non si può. Diamo lo stesso lavoro a uno che sta già facendo un'altra cosa. Ah, e non lo paghiamo - al massimo rimborsi, bonus, aiutini, ci mettiamo d'accordo in corridoio, mi raccomando non dirlo ai colleghi. Naturalmente il tizio lavorerà poco e male, del resto come fai a prendertela con lui? Ha già un altro lavoro da fare. E poi neanche lo pagano. E avanti così.

In controluce, un'idea della politica (e del lavoro) avvilente: roba che si fa nei ritagli di tempo. Nessuno si aspetta che tu la faccia bene. C'è una sedia da riempire e per risparmiare ci mandiamo te che hai già altre cose da fare, ma che ti costa? Sei mesi dopo succede un casino e magari è colpa tua, però alla fine mica se la possono prendere con te, tu avevi altro da fare, mica puoi accorgerti di tutto, e poi per quel che ti pagano.

Volete pagare meno i politici? Pagate meno i politici. Riducetegli il mensile, o riducete le poltrone. Ma lasciare quasi invariato il numero delle poltrone e tentare di spalmarci un numero inferiore di natiche di politici è un'idea semplicemente scema. Se l'ha capito anche la Meloni, son contento che persino la Meloni abbia capito qualcosa. Se Renzi e la Boschi non ci arrivano, sono mortificato: siamo al punto in cui persino la Meloni potrebbe dar loro una lezione di management e, beh, di democrazia.

Però se votiamo no e facciamo finta di niente magari tra un po' ci dimenticheremo del momento in cui un ex sindaco proponeva per "risparmiare" di far fare ai sindaci e consiglieri il mestiere dei senatori a tempo perso. Ditemi un solo altro Paese al mondo dove qualcuno ha proposto seriamente una cosa del genere.

(Gli altri motivi:

1. Non si riscrive la carta costituzionale col martello pneumatico.
2. Non si usa una brutta legge elettorale come moneta di scambio.
3. Non mi piacciono le riforme semipresidenziali.
4. Meglio un Renzi sconfitto oggi che un Renzi sconfitto domani
5. Mandare 21 sindaci al senato è una stronzata pazzesca
6. Mandare sindaci al senato è davvero una stronzata pazzesca.
7. Nel nuovo Senato alcune Regioni saranno super-rappresentate, ai danni di altre
8. Si poteva scrivere meglio, ma non hanno voluto.
9. Di leggi ne scriviamo già troppe: non abbiamo bisogno di scriverne di più e più in fretta, ma di farle rispettare
10. Il numero di firme necessarie per richiedere un referendum abrogativo va aumentato e basta
11. Non è vero che sarà più facile approvare leggi di iniziativa popolare, non fate i furbi.
12. Dio ci scampi dai referendum propositivi.
13. Il Presidente della Repubblica non sarà necessariamente una figura sopra le parti.
14. Gli abitanti delle città metropolitane non avranno il diritto di eleggere i loro rappresentanti? Ma siete scemi?
15. Chi abolisce le Province non capisce il territorio.
16. Se passa la riforma, per un po' ce la dovremo tenere; se non passa, possiamo subito proporne una migliore
17. Perché non vorresti mai darmi ragione.
18. Perché "NO" almeno sai come si scrive
19. Se vuoi risparmiare taglia le poltrone; costringere sindaci e consiglieri a sedere su più poltrone contemporaneamente è una cattiva gestione delle risorse).
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Il vero motivo per votare No

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17) Ok, se siete arrivati fin qui, adesso vi dico davvero perché dovrete votare No.

Sentite, io lo so che in questo momento sembra che vi stiate giocando il tutto per tutto. Ve lo dicono in ogni dove, ve lo dice gente degna di fede, persino Romano Prodi, insomma stavolta o si fa la riforma costituzionale o si muore. Sembra proprio così.

Ma sarà sempre così, da qui in poi.

Inevitabile
Tra un anno si faranno le elezioni, e di nuovo Renzi tornerà in tv da mane a sera; di nuovo vi impesterà la bacheca con spot elettorali non molto rispettosi delle vostre facoltà intellettive. Di nuovo vi spiegheranno che è la volta buona, che o vince Renzi o arriverà lo Spread, i grillini con le loro sofisticatissime catene di sant'antonio, le cavallette. E se non saranno le elezioni, si farà un referendum d'indirizzo sull'eurozona. Vi preoccuperete molto, di nuovo; vi sembrerà che il clima sia irrespirabile, di nuovo; e tratterrete il respiro, di nuovo; ma forse a un certo punto vi sorprenderete a pensare: ma non è già successo, tutto questo? Non c'era almeno uno che lo ha previsto, in un blog? Ma vuoi vedere che aveva ragione?

E a me non piace avere ragione.

Mettiamo che Renzi vinca, domenica - perché Renzi può vincere. Altrimenti non ci crederebbe così tanto. È riuscito a tornare anche dalla D'Urso (a proposito: se le tv sono così importanti, perché non si preoccupa del conflitto d'interessi? E se invece non sono così importanti, perché è sempre in tv?) Mettiamo che Renzi ce la faccia. Poi dovrà cambiare l'Italicum, come ha promesso a Cuperlo. Mettiamo che lo cambi con una legge ancora peggiore, ancora più distorta, ancora più "Io solo contro tutti e chi arriva prima si piglia un premio spropositato". Mettiamo, insomma, che vada proprio come sto dicendo io.

Siete proprio sicuri che volete darmi ragione?

Poi immaginatevelo, Renzi, dopo una campagna così. Renzi che sfida tutti, e sembra sotto per otto mesi, e poi nel rush finale vince. Per un'incollatura, magari, ma non importa: è un referendum, chi arriva primo vince tutto. Immaginatevelo a quel punto: ce la farà a star serio? Altro che #ciaone, stavolta. E se anche lui nel frattempo avesse capito che le vittorie vanno gestite con più sportività delle sconfitte, ve li immaginate i suoi subordinati? Gente che ormai gli deve tutto e in caso di sconfitta scomparirebbe dai radar? Immaginate tutta questa gente lunedì resuscitare, esultare; immaginateli spernacchiare i grillini con mimiche e argomenti ormai indistinguibili da quelli messi in circolo dalla Casaleggio. E poi immaginateli tra un anno, ancora lì, garruli, a difendere Renzi perché Renzi è l'unico senso che hanno. Quanto potranno ancora reggere, prima di essere spazzati via? Non è una cosa che gli auguro; non credo che chi verrà dopo sarà per forza meglio, ma prima o poi Renzi sarà sconfitto, e non ci sarebbe niente di male - se sapesse perdere. Se le leggi che lui stesso sta scrivendo non servissero proprio a ridurlo in briciole, la prima volta che toccherà a lui perdere. E quando succederà, non sarete affatto contenti di darmi ragione.

Ma ammettiamo pure che dopo il referendum Renzi vinca le elezioni, e si ritrovi il parlamento proprio come lo vuole lui; quello che nelle vostre proiezioni è il lieto fine. Quanto ci metteremo a scoprire che i sindaci/senatori non funzionano? Che non ci sono quando servono, o che spesso sono in conflitto di interessi, che in città vengono criticati perché stanno a Roma e a Roma nessuno si accorge di loro? Quanto ci metterà un giornalista a trovare i rimborsi spese; quanto ci metterà l'opinione pubblica a trovarli vergognosi, anche se equivalessero giusto al vitto, all'alloggio, e all'abbonamento frecciarossa in prima classe? In breve: pensate che basterà vincere per l'incollatura il referendum per trasformare una cosa stupida (i sindaci al senato) in una cosa accettata da tutti? Un sacco di gente non l'accetterà. Un sacco di gente starà là fuori attenta alla minima magagna. Finché forse anche a voi non verrà il dubbio - come se non vi fosse già venuto - forse quei 21 sindaci in senato non sono poi un'idea così brillante. Forse aveva ragione Leonardo.

Ma voi non volete darmi ragione.

E l'iter legislativo. Quello che dovrebbe andare spedito. Cosa succederà alla prima legge che si perde nel ginepraio dell'articolo 70, quello che secondo i costituzionalisti degli spot di Renzi è scritto bene (ma nemmeno provano a spiegarlo)? Cosa succederà quando arriverà alla Gazzetta Ufficiale la prima infornata di leggi approvate velocissimamente, ma scritte con i piedi? Vi ricordate tutte le volte in cui una legge ammazza-internet scritta da gente che non distingueva tra un blog e una testata giornalistica è stata provvidenzialmente abbattuta tra Camera e Senato; cosa succederà la prossima volta, quando tra la Camera e la Gazzetta Ufficiale non ci sarà più che la firma di un presidente della Repubblica? E quando eleggeranno il prossimo, e magari si scoprirà che la maggioranza parlamentare effettivamente ha i numeri per eleggere chi vuole, sarete contenti di dovermi dare ragione? No, nessuno è contento quando mi dà ragione.

E quando cominceremo a celebrare referendum propositivi che contraddicono l'azione del governo? E quando qualcuno si domanderà: ma tutte le iniziative di legge popolare che il parlamento avrebbe dovuto mettere all'ordine del giorno, che fine hanno fatto? Non vi costerà darmi ragione? A me costerebbe.

Nel frattempo la vita andrà avanti; ognuno avrà la sua parte di disgrazie: frane, alluvioni, terremoti. E ogni volta qualcuno si dirà: è mancata la prevenzione. D'altro canto i comuni sono troppo piccoli, ognuno pensa alla sua sponda di fiume, manca il quadro generale. Le regioni sono troppo grandi, di fiumi ne hanno tanti. Le province - ma esistono ancora? Nella costituzione sono sparite. Da qualche parte c'è un'assemblea di sindaci che ogni tanto si riunisce, ma non è chiaro cosa facciano, nessuno ne parla mai. Cioè. Un tizio su un blog ne parlava, e magari aveva la sua parte di ragione.

Ma che me ne faccio io della ragione?

Preferirei un bel torto. Che vinca il No, e che i renziani tornino a casa convinti di essere quasi riusciti a cambiare in meglio il Paese. Poi il tempo passerà, virando in rosa i dettagli più schifidi, e ai nipotini sarà più facile raccontare che Renzi aveva in mano una riforma bellissima, bellissima, ma i fascisti cattivi e i grillini matti non gliel'hanno fatta passare. Sarà un meraviglioso storytelling, e uno come me farà la comparsa nel ruolo di villano di complemento. Oppure scomparirò, preferisco. Tutti questi pezzi che ho scritto, a rileggerli, non avranno più senso; magari li cancellerò. La gente passerà di qui e penserà che in novembre mi ero preso una pausa, o che cominciavo - giustamente - a preoccuparmi davvero per Trump, o per il riscaldamento globale. Sul serio, preferirei così. E anche voi, se ci pensate bene. Per questo dovete votare No. Nessuno dovrà mai sapere che avevo ragione.

18) Oppure potete votare "NO" perché è l'unica opzione che sulla scheda è scritta in italiano corretto.

(Gli altri 16 motivi:

1. Non si riscrive la carta costituzionale col martello pneumatico.
2. Non si usa una brutta legge elettorale come moneta di scambio.
3. Non mi piacciono le riforme semipresidenziali.
4. Meglio un Renzi sconfitto oggi che un Renzi sconfitto domani
5. Mandare 21 sindaci al senato è una stronzata pazzesca
6. Mandare sindaci al senato è davvero una stronzata pazzesca.
7. Nel nuovo Senato alcune Regioni saranno super-rappresentate, ai danni di altre
8. Si poteva scrivere meglio, ma non hanno voluto.
9. Di leggi ne scriviamo già troppe: non abbiamo bisogno di scriverne di più e più in fretta, ma di farle rispettare
10. Il numero di firme necessarie per richiedere un referendum abrogativo va aumentato e basta
11. Non è vero che sarà più facile approvare leggi di iniziativa popolare, non fate i furbi.
12. Dio ci scampi dai referendum propositivi.
13. Il Presidente della Repubblica non sarà necessariamente una figura sopra le parti.
14. Gli abitanti delle città metropolitane non avranno il diritto di eleggere i loro rappresentanti? Ma siete scemi?
15. Chi abolisce le Province non capisce il territorio.
16. Se passa la riforma, per un po' ce la dovremo tenere; se non passa, possiamo subito proporne una migliore
17. Perché non vorresti mai darmi ragione.
18. Perché "NO" almeno sai come si scrive).
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Dialogo tra un riformista e un No

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(Negli ultimi giorni, come avrete notato, volevo buttare giù qualche argomento contro la riforma costituzionale, ma la cosa mi ha lievemente preso la mano. Qui sotto c'è una specie di riassunto degli ultimi 16 argomenti, in forma di dialogo. Magari è più semplice da linkare agli amici. Magari è un modo di perderli, gli amici. D'altro canto, chi ha bisogno di amici quando ha il CNEL?)


Il CNEL ti ha mai deluso? Perché vuoi deludere il CNEL?
Ciao. Mi puoi dire in breve perché voterai No alla riforma?

Perché non mi piace.

Tutto qui?

Non sono un esperto.

Non pensi di dover dare un giudizio più completo?

Credo che non riuscirò a farne a meno, ma non significa che sia giusto. Sono una persona qualsiasi, non sono tenuto a conoscere il diritto costituzionale.

Vabbe', ma allora tutti. 

Un buon motivo per non fare un referendum.

Ma allora non cambia mai niente!

Non è necessario il referendum per cambiare la Costituzione. Basta proporre una riforma condivisa, e farla approvare ad almeno due terzi del parlamento.

Grillini e Berlusconi non l'avrebbero approvata mai.

I grillini forse no - con Berlusconi fu Renzi a strappare, dopo l'elezione di Mattarella. Ma comunque, se questo parlamento non poteva fornire una maggioranza qualificata, forse era un buon motivo per scioglierlo - tanto più che è stato eletto con una legge che abbiamo poi scoperto incostituzionale. Forse Renzi avrebbe dovuto limitarsi a cambiare la legge elettorale e poi rimandare il tutto alla prossima legislatura. Invece dopo due anni cosa abbiamo ? Una brutta riforma costituzionale che forse domenica sarà bocciata, e una legge elettorale che sarà cambiata.

Ecco, lo sapevo, ce l'hai con Renzi.

In realtà mi è capitato di votarlo, e non escludo di farlo in futuro. Ma naturalmente ce l'ho con lui.

Lo ammetti pure.

Io non è che ce l'ho con queste riforme perché le ha fatte Renzi; ce l'ho con Renzi per le riforme che ha proposto. L'impronta che dà a questa riforma è chiarissima: i sindaci al senato e l'abolizione delle province erano cose che proponeva già alle prime Leopolde, quando ancora non era nemmeno leader di una vera e propria corrente del suo partito. Le ho sempre trovate proposte sbagliate, e quindi non le voto.

Qual è la riforma più sbagliata che avrebbe proposto Renzi, sentiamo.

Probabilmente l'Italicum.

L'Italicum non è nella Riforma!

Giusto.

Voti no alla Riforma solo perché il suo ispiratore ha anche ispirato l'Italicum?

Forse non posso, ma insistere sulla bruttezza dell'Italicum non è stato così inutile, visto che alla fine hanno deciso che lo cambiano (anche perché sennò ci perdono le elezioni).

Ecco, appunto, lo cambiano: quindi ora puoi votare per la Riforma.

Sembra quasi che vogliate propormi uno scambio: mi ridate una legge elettorale decente se io vi voto la vostra brutta riforma. Ma una legge elettorale non è una moneta di scambio. E tanto l'Italicum lo cambieranno lo stesso.

Ma dimmi una cosa che non ti piace della Riforma.

Mah, per esempio, i sindaci al Senato.

Che c'è di male?

È un doppio incarico, crea conflitti di interesse.

Però così si risparmia!

Se vuoi risparmiare puoi tagliare il numero delle poltrone. Che senso ha trasformare una delle due camere in un dopolavoro per sindaci già altrimenti indaffarati?

Ma un sacco di sindaci a Roma ci va a già.

A curare - si spera - gli interessi dei cittadini del loro comune, non della loro regione.

Non è così difficile da capire. Come sindaci cureranno gli interessi del loro comune; come senatori eletti dai consiglieri regionali cureranno gli interessi della loro regione. 

Pensi che non confliggano mai?

A volte confliggeranno, ma...

In caso di conflitto, chi è che può minacciare di farli decadere? A chi devono veramente il posto?

A chi?

I consiglieri regionali non hanno l'autorità per farli decadere da senatori. Ma i consiglieri comunali possono togliere la fiducia al loro sindaco in qualsiasi momento. Avremo maggioranze in Senato che si fanno e si disfano con manovre congiunte a Ravenna o Canicattì. Ti ricordo che i sindaci/senatori sono pagati in quanto sindaci, non in quanto senatori: perché quando scoppia un conflitto d'interessi tutto ha importanza, anche il lato in cui tieni il portafoglio.

Tanto il Senato non sarà poi così importante.

Può ritardare l'attività legislativa della camera; approva le riforme costituzionali, nomina due giudici della Corte Costituzionale (che diventerà ancora più importante, ora che l'iter legislativo diventa più breve) ed elegge il presidente della Repubblica. Pensa. Una crisi municipale a Canicattì potrebbe cambiare il quorum necessario all'elezione del presidente della Repubblica.

Va bene, i sindaci al Senato non ti piacciono. Tutto qui?

Nel prossimo Senato un molisano varrà cinque marchigiani.

Eh? 

Sia ai molisani che ai marchigiani spettano due seggi, ma in Molise abita un quinto della popolazione delle Marche.

Si fa per salvaguardare le minoranze.

I molisani sono una minoranza?

No, ma gli altoatesini...

Siamo nel 2016, qual è il rischio che corrono gli altoatesini esattamente? Perché devono avere un cinquantesimo dei seggi al Senato, se non arrivano all'1% della popolazione nazionale? Perché i lucani devono avere un senatore ogni 300mila abitanti e i liguri uno ogni 800mila?

Si fa per rappresentare il territorio.

Non mi pare, altrimenti la Sicilia - che è la regione più grande - dovrebbe avere molti più senatori del Veneto. No, è solo un pasticcio causato dal fatto che hanno ridotto drasticamente il numero dei senatori, senza però rinunciare alle prerogative delle regioni a statuto speciale, e cercando ugualmente di rispettare un criterio di proporzionalità. Ma la coperta è troppo corta: o rinunci ai due seggi fissi per le province autonome, o la proporzionalità diventa una farsa. Bastava dare un occhio con la calcolatrice. Sembra che non ci abbiano guardato.

Tanto il Senato non sarà così importante. Quasi tutte le leggi le approverà la Camera e basta.

Aridagli. Ma sei sicuro?

C'è scritto così.

In che articolo?

No, non cominciare anche tu con l'articolo 70.

Hai capito cosa c'è scritto?

Non del tutto, ma mi fido.

Io no.

Lo hai ammesso all'inizio che non sei un esperto, non puoi pretendere che una materia così complessa sia...

Si poteva comunque scrivere un po' più chiaro.

Come fai a dirlo?

L'ho riscritto un po' più chiaro.

Eh, ma chi ti credi di essere?

Un insegnante di italiano.

Ok, ma non sono tutti altrettanto attenti alla prosa e alla sintassi, va bene?

Non potevano chiedere una mano?

Vuoi votare No soltanto perché un articolo è un po' scritto male?

Voglio votare No perché avevano tutto il tempo e l'agio per scriverlo meglio, e non l'hanno voluto fare. Il problema non è scrivere male, scriviamo tutti troppo e male. Il problema è scrivere male apposta.

Comunque gran parte dell'attività legislativa sarà svolta dalla Camera. Si andrà molto più spediti.

Perché?

Da: Valerio Di Porto, I numeri delle leggi. Un percorso
tra le statistiche delle legislature repubblicane.
Che razza di domanda è? 

Perché l'attività legislativa dovrebbe procedere più spedita?

Ma siamo nel Duemila, sta tutto accelerando.

Hai bisogno di leggi più nuove, più adeguate ai tempi?

Sì. 

In Italia si scrivono già molte più leggi che in altri Paesi europei, hai notato?

E con questo?

Abbiamo bisogno di leggi buone che vengano rispettate, non di leggi emanate rapidamente che magari si scoprino inapplicabili. Spesso un'eccessiva produzione di leggi nasconde il fatto che le stesse leggi non vengono rispettate. Non so se hai presente il primo capitolo dei Promessi Sposi...

Cheppalle prof. E comunque le leggi si potranno abrogare coi referendum.

Non è questa gran novità.

Ma se raccogli trecentomila firme in più, il quorum diminuirà. 

Grillo sarà contento...

Che c'entra Grillo adesso.

...ma io mi fido poco dei referendum, penso che dovrebbero essere episodi rari ed eccezionali.

Allora caschi male, la riforma introduce anche i referendum propositivi.

Quindi tra un po' faremo un referendum per uscire dall'Euro.

Eh?

Grillo è da anni che lo promette ai suoi, figurarsi se si fa sfuggire la possibilità. E se vince il sì che si fa? Si esce dall'Euro?

È fantascienza!

Già, è come pensare che... che la Gran Bretagna esca dall'Unione Europea. Anche quello era un referendum propositivo, in effetti.

Comunque avrebbe solo valore consultivo.

Già. Possiamo sempre dire al popolo che si sbaglia, che dopotutto il suo parere non ci interessa. Che grande idea questo referendum propositivo.

Immagino che avrai qualcosa da obiettare anche sulle leggi di iniziativa popolare.

Ma le iniziative popolari erano già previste.

Sì, ma d'ora in poi non scompariranno nel cassetto. Saranno realmente discusse in parlamento.

In che modo?

Scriveranno un regolamento che imporrà ai parlamentari di discuterne in tempi brevi.

Vorrà dire che le casseranno in tempi brevi.

Cosa potrà mai andar storto?
Come sei pessimista.

Sono realistico: un'iniziativa di legge popolare non ha nessuna speranza di essere approvata da un parlamento ostile. Di solito viene presentata per attirare l'attenzione, per creare un caso mediatico. Magari un po' di attesa può anche aiutare. Promettere che ne discuteranno in tempi brevi significa ammettere che la cestineranno subito.

Ma perché il parlamento dovrebbe essere ostile? Se invece è sensibile all'argomento?

Se alla Camera c'è qualche deputato interessato all'argomento, la proposta di legge può scriverla lui; non c'è nessun bisogno di fare un'iniziativa popolare e raccogliere 50.000 firme.

No, saranno centocinquantamila.

Ah già dimenticavo, le avete pure triplicate.

Così diventano più importanti.

Sì ma scusa, mi stai dicendo che nella riforma c'è scritto che sarà più facile approvare leggi di iniziativa popolare - ma nella riforma l'unica modifica riguardante le iniziative popolari è l'aumento del numero di firme! Mi vuoi prendere in giro?

Non vogliamo prenderti in giro.

L'impressione purtroppo è quella. Per esempio quando dite che da qui in poi sarà impossibile eleggere presidenti della repubblica super partes...

Certo che sarà impossibile!

E perché?

Perché anche dopo il quarto scrutinio saranno comunque necessari i voti dei tre quinti dell'assemblea, e non soltanto la maggioranza assoluta come adesso.

Sai quanti saranno?

Te l'ho detto: i tre quinti.

E siccome gli elettori saranno 630 deputati più 100 senatori, stiamo parlando di 438 elettori, invece che 366. Comunque meno di adesso (per eleggere Mattarella ne sono serviti 665 su 1009).

L'importante è che siano i tre quinti. 

E se un partito ha i tre quinti dell'assemblea?

Improbabile.

Ma non impossibile. A proposito, ti ricordi quanti seggi da deputato metteva in palio l'Italicum a chi superava il 40% dei suffragi?

E che c'entra?

Ottantotto. Chi passava il 40% si sarebbe preso il 54% della Camera, senza nemmeno il ballottaggio.

Non sarebbero stati comunque sufficienti a eleggere... ma perché stiamo ancora parlando di Italicum? Tanto lo cambiamo.

Sei sicuro?

C'è un impegno scritto, l'ha firmato anche Cuperlo.

Possiamo stare sereni, insomma.

Vabbe', se la metti su questo piano...

No, scusa, ma in politica conta anche la fiducia, e bisogna guadagnarsela. Può darsi che cambino l'Italicum, ma non ne sono sicuro; può darsi persino che lo peggiorino. Quest'estate Orfini parlava di modello greco, un maxipremio di maggioranza al primo partito che arriva al fotofinish.

Ma cosa c'entra?

Non mi sento di escludere che con una distorsione del genere un partito conquisti davvero i tre quinti del parlamento. Aggiungi che dal settimo scrutinio chi esce non sarà conteggiato, e il quorum necessario a eleggere il presidente diminuirà.

E che c'è di male?

In una situazione di stallo anche un solo senatore potrebbe cambiare le cose, e ti ricordo che con questa riforma del Senato ci sono metodi molto curiosi per sloggiare i senatori.

E cioè? 

Farli decadere dal ruolo di sindaci o di consiglieri regionali - appena decadono smettono di essere anche Senatori, ma le votazioni vanno avanti col quorum abbassato. Una cosa abbastanza bizantina, non trovi?

Mi sembra improbabile che per eleggere un presidente facciano cadere un comune.

Tutto è improbabile finché non si realizza: guarda Trump. Però, anche se non si realizzasse mai, che fiducia posso avere di riformatori che non notano difetti così macroscopici?

Il nuovo titolo V però è sacrosanto.

Devo essere onesto?

Ti piaceva prima?

Non tanto, no - anche se l'ho votato nel 2001. Ma così è peggio.

Ma come fai a dirlo. Finalmente ha abolito le province. 

Ha solo cancellato la parola dalla Costituzione. In realtà esistono ancora. E comunque a me piacevano.

Ti piacevano le province?

Giuro. Non siamo rimasti in tanti, mi rendo conto. Ma le ho sempre trovate più sensate delle regioni. Sono modellate sui territori, racchiudono in un insieme organico un tessuto urbano e il contado circostante. Sono l'unità ottimale per la gestione dei fiumi, la prevenzione del dissesto geologico, la gestione delle strade... ma anche delle scuole e degli ospedali. Del resto nessun governante si sogna di eliminarle davvero: raschiare la parola "province" dalla Costituzione è solo un contentino che si voleva dare a grillini e soci. Pensa che la prima proposta di cancellare la parola arrivò dall'Italia dei Valori. Nel frattempo le province restano, anche se non votiamo più direttamente per i politici che le amministrano - alla faccia della tanto sbandierata accountability. Non mi dire che si fa per risparmiare, perché alla fine anche se sono fuori dalla Costituzione le province continueranno ad avere un budget. Sarà solo più difficile notarle, il che non è necessariamente un bene.

Almeno hanno lasciato le Città Metropolitane.

Una toppa che fa vedere il buco. Prima ogni italiano era cittadino su tre livelli: comune, provincia e regione. Con la nuova Costituzione ci saranno 40 milioni di cittadini su due livelli (comune e regione) e 20 milioni su tre: comune, città metropolitana e regione. Mi dà fastidio anche solo esteticamente, è un'asimmetria senza senso.

Pensi che i cittadini metropolitani siano avvantaggiati perché sono rappresentati su tre livelli?

In realtà sono svantaggiati - perlomeno quelli che non abitano nel comune capoluogo, ma in quella che ieri si chiamava "provincia", l'area periferica della città metropolitana. Sai che non hanno diritto a eleggere il proprio sindaco metropolitano? Per legge il sindaco metropolitano è il sindaco del comune capoluogo. A Napoli, per dire, lo eleggono soltanto i cittadini residenti a Napoli.

E che male c'è? È il comune più importante. 

Anche se fosse, rimane una questione di rappresentanza. E comunque gli abitanti del comune di Napoli non arrivano al milione.

E quelli della città metropolitana?

Tre milioni.

Ah. 

Più di due milioni di napoletani-metropolitani non avranno diritto di votare per il proprio sindaco metropolitano. Se poi quest'ultimo mostrasse di anteporre gli interessi del centro a quelli della periferia, sarebbe così biasimevole? Ogni politico si preoccupa di chi lo vota, non degli altri.

Questa comunque è la legge Delrio, non è propriamente la riforma costituzionale. Torniamo al Titolo V: qualcos'altro non ti convince?

Guarda, l'articolo 117 mi lascia un po' perplesso.

Quello che riconsegna allo Stato le sue competenze? Dai, ma era necessario. Quello attuale era un casino, c'è una mole spaventosa di contenziosi tra Stato e regioni...

Ecco, appunto, c'era bisogno di far chiarezza. Ma nel nuovo articolo le due liste di competenze tra Stato e regioni non sono poi così chiare.

A me sembrano chiarissime. Allo Stato tornano le competenze in materia di sanità...

...e alle Regioni la "programmazione e organizzazione dei servizi sanitari e sociali".

Allo Stato torna l'istruzione...

...e alle Regioni la "promozione del diritto allo studio". Insomma c'è ancora margine per litigare. Però devo dire che non me intendo.

Meno male. 

Ma anche se fosse un ottimo articolo, più che di riforma ormai stiamo parlando di controriforma, rispetto alle innovazioni del 2001. A proposito, tu cos'hai votato nel 2001?

Non mi ricordo. 

E nel 2006?

Per cosa abbiamo votato nel 2006?

Una riforma costituzionale.

Un'altra?

Sì, e l'abbiamo bocciata. Questa è la terza volta in 15 anni che mi capita di votare una riforma costituzionale.

Ma stavolta è più importante.

Perché?

Perché se non la cambiamo stavolta, non se ne parlerà più per anni. 

Perché?

Come perché? Se Renzi perderà...

Che c'entra Renzi? Stiamo parlando della riforma costituzionale.

Non fare il furbo.

Pensavo si dovesse discutere sul merito.

Non è così facile separare le cose. 

Già, lo sto notando. Quando cominci a notare i difetti della riforma, ti dicono che sono tutti pretesti, che ce l'hai con Renzi. Al nono o decimo difetto che trovi cominciano a dirti, ehi, va bene, non sarà perfetta ma... qui o si salva Renzi o si muore!

E non è così? Se cade lui cosa succederà?

Non credo che cadrà. Se anche dovesse perdere, difficilmente andrà sotto il 40%. Continuerà a essere un protagonista. D'Alema non tramontò col fallimento della bicamerale, anzi andò a Palazzo Chigi; Berlusconi, quando la sua riforma fu bocciata da un referendum, non fece un plissé. Renzi sta drammatizzando molto di più, ma un risultato lo porta comunque a casa.

Ma se non si faranno le riforme stavolta non si faranno più.

Ma perché? Sono 15 anni che si fanno e si difano riforme. Ah, nel frattempo Tremaglia è riuscito a inserire nella Costituzione il voto degli italiani all'estero. La Merel ci ha fatto inserire il pareggio di bilancio - insomma la Costituzione si riscrive continuamente. Perché dovremmo fermarci se Renzi perde un referendum? Anzi, è più facile pensare il contrario. Se Renzi lo vince, per qualche anno non si potrà più toccare il suo Senato senza senso. Ma Renzi non vincerà per sempre, e quella roba prima o poi bisognerà cambiarla. Meglio prima che poi, no?

Cioè stai dicendo che sarà più facile riformare la Costituzione votando No?

Non si tratta semplicemente di riformarla: si tratta di migliorarla. Non è che qualsiasi riforma vada bene: ce ne sono di migliorative e di peggiorative. Questa in certi casi rasenta il vandalismo.

Oh, ma lo sai che mi stai convincendo?

Sul serio?

No, scherzavo. 

Ti prometto che se voti No domenica, io alle prossime elezioni voto Renzi.

Come faccio a fidarmi?

Eh, ti capisco.
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Se non cambiamo la Costituzione questa volta... la cambiamo la prossima volta (anche domani)

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La Stampa, ottobre 2001.

A questo punto di motivi per votare No ne ho già messi più di quindici, di cui una buona diecina nel puro merito della riforma. Qualche cosa da dire ancora mi verrebbe, per esempio sul nuovo articolo 117 che dovrebbe fare tabula rasa di un'era di sconsiderata devolution, rimediando al dilagare di contenziosi tra Stato e Regioni. Ai miei occhi inesperti sembra un po' pasticciato; c'è una lunga lista di competenze che tornano allo Stato (ad esempio, "disposizioni generali e comuni per la tutela della salute"), segue un'altra lista di "potestà legislative" riservate alle Regioni, non voci non dissimili dalla prima (ad esempio "programmazione e organizzazione dei servizi sanitari e sociali") ma in un ordine diverso. Può darsi che tutto ciò contibuisca a determinare con chiarezza ciò che spetta allo Stato e ciò che spetta alle Regioni (al primo la salute, al secondo la, uhm, programmazione dei servizi sanitari), ma così a occhio, ecco, non sembra. In mezzo la famosa clausola di supremazia "Su proposta del Governo, la legge dello Stato può intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva quando lo richieda la tutela dell'unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell'interesse nazionale" che mi sembra veramente formulata nel modo più vago possibile, come a scoraggiare da qui in poi qualsiasi rigurgito di orgoglio regionale.

Però, sapete che c'è? In fondo non me ne intendo. Magari è un buon articolo, una di quelle cose brutte ma pratiche; bisognerebbe chiedere ad avvocati o amministratori. E visto che di motivi per votare No ne ho già più che sufficienti, qui lascio la mano. Non voglio dare l'impressione di uno che sta a spulciare il testo alla ricerca del minimo errore. Tutte le cose che ho trovato fin qui erano magagne evidentissime che mi era già capitato di notare, di cui avevo già discusso qui o altrove; l'articolo 117 mi dà solo una brutta impressione, ma magari è un pregiudizio.

Ipotizziamo che si tratti proprio di un pregiudizio, e che in realtà l'art. 117 sia un ottimo articolo. Sarebbe più o meno il primo. E più che di una riforma, bisognerebbe parlare di controriforma: un ritorno al centralismo dopo la revisione del Titolo V votata da un parlamento a maggioranza di centrosinistra nel 2001 e confermata da un referendum nell'ottobre dello stesso anno, quando Berlusconi era già tornato al potere. Del resto da quando esiste questo blog lo scrivente ha già partecipato a due referendum confermativi di revisione costituzionale: nel 2001, appunto, e nel 2006. Il che mi pare un buon argomento contro uno dei mantra renziani, ovvero che se non si cambia la Costituzione stavolta non la cambiamo più. La Costituzione si cambia continuamente. Ai tempi dell'emergenza spread i tedeschi ci convinsero a inserire il pareggio di bilancio (secondo la mentalità nordica per cui se metti una legge nella Costituzione, dopo la rispetti). Tremaglia fece inserire le circoscrizioni per gli elettori all'estero. E così via.

Chiunque abbia una salda maggioranza nel Paese può cambiare la Costituzione italiana quando e come vuole. Renzi forse non ce l'ha, ma non c'è davvero motivo di pensare che a Renzi segua il diluvio. La prospettiva escatologica di alcuni renziani è abbastanza irrazionale; quanto alla fretta di Napolitano, è difficile impedirsi di pensare che l'età avanzata non giochi un ruolo. Ma noi saremo qui anche quando Renzi cadrà - e non è affatto detto che sia stavolta, anzi: potrebbe anche essere il suo più grande trionfo - ma prima o poi cadono tutti, e siamo sopravvissuti a leader che sembravano più irresistibili di lui. Se vince il Sì, per un po' occorrerà tenersi questa nuova costituzione coi sindaci al Senato e i referendum propositivi. Se vince il No, si può ricominciare a parlarne anche da subito; magari modificando quei passi che gran parte degli osservatori aveva criticato, molto prima che la riforma passasse in parlamento.

Il caso dei sindaci è il più eclatante: non c'è davvero motivo per mandarli al Senato (ci sono modi più onesti di risparmiare), salvo che Renzi lo aveva promosso a una Leopolda e da lì in poi ci si è intestardito: a una buona riforma scritta da gente esperta, R. ha preferito una riforma discutibile scritta come la voleva lui. Perché alla fine era su di lui che voleva che votassimo; la Costituzione, in fin dei conti, è un pretesto. Fosse tornato indietro sui sindaci e su qualche altro dettaglio, Renzi avrebbe avuto persino il mio voto: ma il punto è che non lo vuole, questo voto mio. Vorrebbe mettermi in minoranza, o almeno costringermi a votarlo turandomi il naso, anteponendo la paura del post-Renzi a una legge che in coscienza ritengo peggiorativa. Io ho, come tutti, paura del post-Renzi, ma non al punto di mettere la croce sotto qualsiasi schifezza. Renzi è una risorsa ma non è indispensabile: potrà durare ancora moltissimo, sia se vince sia se perde di misura. Potrà avere il mio voto, quando proporrà cose che riterrò buone: non è davvero questo il caso.

Gli altri motivi per votare il referendum

1. Non si riscrive la carta costituzionale col martello pneumatico.
2. Non si usa una brutta legge elettorale come moneta di scambio.
3. Non mi piacciono le riforme semipresidenziali.
4. Meglio un Renzi sconfitto oggi che un Renzi sconfitto domani
5. Mandare 21 sindaci al senato è una stronzata pazzesca
6. Mandare sindaci al senato è davvero una stronzata pazzesca.
7. Nel nuovo Senato alcune Regioni saranno super-rappresentate, ai danni di altre
8. Si poteva scrivere meglio, ma non hanno voluto.
9. Di leggi ne scriviamo già troppe: non abbiamo bisogno di scriverne di più e più in fretta, ma di farle rispettare
10. Il numero di firme necessarie per richiedere un referendum abrogativo va aumentato e basta
11. Non è vero che sarà più facile approvare leggi di iniziativa popolare, non fate i furbi.
12. Dio ci scampi dai referendum propositivi.
13. Il Presidente della Repubblica non sarà necessariamente una figura sopra le parti.
14. Gli abitanti delle città metropolitane non avranno il diritto di eleggere i loro rappresentanti? Ma siete scemi?
15. Chi abolisce le Province non capisce il territorio.
16. Se passa la riforma, per un po' ce la dovremo tenere; se non passa, possiamo subito proporne una migliore.
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Chi abolisce le province non capisce il territorio

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La Riforma Boschi-Renzi, com'è noto, non elimina di fatto le Province, ma le raschia via dal testo costituzionale, realizzando così una vecchia proposta dell'Italia dei Valori - ma anche Renzi, nei 100 punti di una delle sue prime Leopolde, aveva messo nero su bianco che le province andavano abolite perché costano troppo. L'ho sempre trovato un punto di vista straordinariamente miope e populista, e non ho mai smesso di scriverlo. Così perdonatemi se stavolta, invece di trovare nuove parole per spiegare le stesse semplici cose, mi limito a copiare e incollare pezzi che ho prodotto negli ultimi cinque anni, su questo blog e sull'Unita.it. 

Dalle mie parti è stato il Natale più caldo del secolo. È probabilmente un record destinato a infrangersi presto, conviene prepararsi. Temperature miti a Natale significano poca neve sull'alto appennino, precipitazioni piovose un po' dappertutto, fiumi in piena (noi ne abbiamo due abbastanza pericolosi), ponti da chiudere al traffico, e rischi di inondazioni. Per fortuna ci sono le casse di espansione, i bacini artificiali da allagare quando i fiumi arrivano a livello di guardia. E però non sono mai stati collaudati. Pare. In Regione dicono che non c'è problema, ed è sicuro che funzioneranno; anche l'Agenzia interregionale del Po è dello stesso parere, e quindi ce le teniamo così. Nel frattempo dall'altra parte dell'Appennino una procura sta indagando su tredici funzionari accusati di disastro e omicidio colposo, perché? Perché non avevano collaudato una cassa di espansione. Sembrava funzionante. Poi un giorno il Magra ha straripato e ad Aulla sono morte due persone. Più i soliti milioni di euro di danni. Collaudare la cassa d'espansione sarebbe costato meno, ma è un'operazione complessa e non del tutto priva di pericoli, che arreca disagio alla popolazione, e così alla fine non è mai la priorità di nessun funzionario o politico.

Se i politici tendono a non pensare più di tanto al territorio, non è per miopia o egoismo; semplicemente, il territorio non vota. Votano i cittadini, e i cittadini sono sempre più concentrati nei centri. Del dissesto territoriale si accorgono soltanto quando arriva la piena. Una possibile soluzione poteva passare per il potenziamento dell’ente provinciale, che ha le dimensioni ottimali per occuparsi dei problemi relativi al territorio e alla viabilità. I comuni sono troppo piccoli, le regioni troppo grandi. La provincia era perfetta: sicuramente qualcuna avrebbe potuto essere accorpata, ma in generale è l’entità territoriale che permette di gestire un fiume, una valle, una catena montuosa; l’unica in cui gli amministratori potrebbero trovare l’equilibrio tra le esigenze del centro urbano e quelle del territorio circostante.

Avremmo dovuto potenziarla. Invece a un certo punto qualcuno ha cominciato a dire che andava abolita, e a furia di ripeterlo ci abbiamo creduto tutti. Quella che resterà in piedi col decreto Delrio sarà una specie di dopolavoro dei sindaci, dove la bilancia penderà ancora di più dalla parte di chi rappresenta i centri urbani più popolati. Questi sindaci-volontari dovranno preoccuparsi di inezie come il dissesto idrogeologico praticamente gratis. Bisogna infatti risparmiare, tutte le forze politiche ci tengono molto a risparmiare e pare che il modo migliore sia non pagare lo stipendio ai politici che devono vigilare sul territorio. Il risparmio si calcola subito; i milioni di danni di una frana o di un'alluvione li conteremo poi.

Sull'abolizione delle province ho una teoria. Di solito chi ne parla come una cosa seria, fattibile, sensata... abita a Roma. Al massimo a Milano. Già i napoletani, immagino, si rendono benissimo conto che una cosa è il comune (900.000 abitanti) una cosa la provincia (tre milioni stretti stretti). Ma i milanesi, e i romani soprattutto, le province non riescono a capirle perché non le vedono. Non fanno parte della loro esperienza.

Una provincia ben gestita è una provincia che ha una rete viaria efficiente; che conosce le necessità del suo territorio; sa dove rimboschire per evitare le frane a valle; sa dove intervenire per evitare le alluvioni; sa interpretare il pericolo sismico regolamentando l’edilizia di conseguenza. Tutto questo i comuni non lo possono fare: hanno un orizzonte più corto, ogni comunità vede solo il tratto di fiume che l’attraversa. Né possono farlo le regioni, enti troppo grandi, portati per forza di cose a privilegiare le esigenze dei centri più popolati (che portano più voti) e accantonare il resto.

Molto spesso poi chi parla di abolire le province mostra di non riconoscere che un Paese non è soltanto una comunità di persone, ma è anche il territorio in cui queste persone vivono. Il fatto che alcune province, anche vaste, siano poco popolate, non dovrebbe costituire di per sé un motivo sufficiente per eliminarle. La gestione dei fiumi, delle valli, delle strade, deve essere efficace: la risposta alle emergenze deve essere pronta, anche se in quel territorio abitano poche migliaia di persone.

Ci si scandalizza del fatto che un piccolo centro, Sondrio, continui a esercitare prerogative da capoluogo, ignorando il fatto che per quanto Sondrio possa essere piccola, il territorio a cui fa capo è immenso, e separato dal resto della Lombardia da confini naturali. Non è che non si possano trasferire uffici e competenze a Bergamo, ma rimane da stabilire se sia un risparmio. Per il Tesoro magari sì, almeno nell’immediato; ma per i cittadini? I tagli hanno di buono che sul bilancio si vedono subito: le magagne, i disastri “naturali” che possono derivare da una gestione miope e lontana del territorio, all’inizio non si vedono, e comunque a calcolarli servono mesi, a volte anni.

La stragrande maggioranza degli italiani non vive in grandi centri, ma in territori diversificati dove l’organizzazione provinciale dei trasporti pubblici o delle scuole superiori ha ancora un senso.
Chi vive nell'Italia non metropolitana sa benissimo che tra comune e regione esiste un livello intermedio, che può mettere insieme il bacino di un piccolo fiume, o il contado di una città di medie dimensioni. E che certe decisioni ha più senso prenderle a Massa o Ascoli che non a Firenze o ad Ancona. Le scuole, gli ospedali, i tribunali, le prefetture, perfino le diocesi: chiunque si è posto il problema di amministrare un servizio nel territorio ha sempre preferito dividere l'Italia in pezzettini da 2000 chilometri quadrati, invece che venti enormi blocchi da trentamila.La dimostrazione di quanto sia finto il federalismo dei leghisti è tutta in decisioni del genere: blaterano di dialetti e intanto tagliano province.

Potremmo leggere questa fase di dissoluzione localistica come una fase di guerra tra la nozione di provincia e di regione: mentre le regioni trionfano (la Lega è un partito che ragiona per regioni), la nozione stessa di provincia viene messa in discussione: pare che sia una burocrazia inutile... perché debba essere inutile proprio la provincia e non la regione, non si sa. Un vero decentramento dei servizi dovrebbe avrebbe un respiro provinciale. Ma la tendenza non è questa: la tendenza è quella di trasformare venti città d'Italia in venti capitali di staterelli autonomi, e chiamarlo federalismo. Se potessimo aprire la testa di un federalista milanese e dare un'occhiata al suo "federalismo"... sospetto che ci troveremmo davanti uno Stato assoluto e accentrato su Milano, peggio che ai tempi di Lodovico il Moro; nel frattempo pero' i comuni di confine fanno i referendum per passare al Trentino (si pagano meno tasse), e in generale 'sti sudditi "lombardi" non c'è verso di farli passare per l'Hub Granducale di Malpensa: i bresciani hanno Montichiari, i bergamaschi Orio al Serio, e cosi' via.

Forse la provincia è l'esatto contrario del campanile: il luogo in cui le esigenze dei centri si armonizzavano con quelle del territorio circostante. Le province sono state, dall'Unità a oggi, le maglie di un tessuto complesso, avvinto a un territorio eterogeneo. Non a caso le loro competenze riguardano quasi esclusivamente la tutela delle terre e delle acque (e delle strade, non meno importanti). La retorica populista che in questi anni ci ha voluto convincere che le province 'non servono a niente' nasconde il nostro progressivo scollamento da un territorio che non capiamo, attirati come siamo dai Centri. Non lo vediamo nemmeno più, il territorio, dai finestrini di treni sempre più veloci; salvo spaventarci e indignarci quando lo stesso territorio si ribella, e frana o smotta. In quei casi ci accorgiamo che avrebbe dovuto essere amministrato meglio - ma da chi? La Regione avrebbe dovuto preoccuparsene, ma aveva altre priorità, legate a territori più popolati e più rappresentati in consiglio regionale. Non resterà che lamentarsi dell’emergenza che nessuno aveva previsto: e trovare da qualche parte i soldi per la ricostruzione. Se spenderemo più di quanto avevamo risparmiato tagliando le province, nessuno se ne accorgerà. Sono conti difficili, calcoli noiosi, non li farà nessuno.

Considerate le mie opinioni sulle province e sulla serietà di chi propone di abolirle, non credo che ci si possa stupire se voto No a questa riforma - è più strano che Grillo voti come me, e in effetti l'impegno che il M5S sta esibendo nella campagna per il No mi stupisce. Qui sotto gli altri motivi che ho trovato per votare No. Magari non sono tutti buoni, ma insomma, cominciano a essere tanti: 

1. Non si riscrive la carta costituzionale col martello pneumatico.
2. Non si usa una brutta legge elettorale come moneta di scambio.
3. Non mi piacciono le riforme semipresidenziali.
4. Meglio un Renzi sconfitto oggi che un Renzi sconfitto domani
5. Mandare 21 sindaci al senato è una stronzata pazzesca
6. Mandare sindaci al senato è davvero una stronzata pazzesca.
7. Nel nuovo Senato alcune Regioni saranno super-rappresentate, ai danni di altre
8. Si poteva scrivere meglio, ma non hanno voluto.
9. Di leggi ne scriviamo già troppe: non abbiamo bisogno di scriverne di più e più in fretta, ma di farle rispettare
10. Il numero di firme necessarie per richiedere un referendum abrogativo va aumentato e basta
11. Non è vero che sarà più facile approvare leggi di iniziativa popolare, non fate i furbi.
12. Dio ci scampi dai referendum propositivi.
13. Il Presidente della Repubblica non sarà necessariamente una figura sopra le parti.
14. Gli abitanti delle città metropolitane non avranno il diritto di eleggere i loro rappresentanti? Ma siete scemi?
15. Chi abolisce le Province non capisce il territorio.


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Due milioni di napoletani (e tanti altri di italiani) non avranno il diritto di eleggere il loro sindaco metropolitano

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La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato (articolo 114 della Costituzione riformata).

Le città "metropolitane" (Scusate le virgolette,
ma Cagliari e Messina che ci fanno?)
La bruttezza si vede dai dettagli. È un'improvvisa assimmetria, uno sbrago fatto per imprudenza o per distrazione e poi abbandonato lì - o magari valorizzato, come mettere una cornice intorno a una crepa dell'intonaco sperando che gli ospiti la prendano per arte contemporanea. L'Italia in cui sono nato e cresciuto, quella che mi piaceva insegnare a scuola, era divisa in comuni, province e regioni. Tre livelli amministrativi, come in tutte le democrazie europee simili per popolazione e superficie.

I comuni erano il livello più vicino al cittadino, che da trent'anni può scegliere il sindaco di persona; le province univano intorno ai centi storicamente più rilevanti i comuni meno abitati, riprendendo una gerarchia che si è formata spontaneamente a volte prima del medioevo, la dialettica tra borgo e contado, i confini ancora culturalmente percepibili di alcune signorie. Le ho sempre trovate, salvo qualche assurda esagerazione recente (la Brianza o Fermo nelle Marche), le unità più adatte alla tutela del territorio, specialmente quando sono definite dal bacino di un fiume, dall'estensione di una vallata.

Le regioni hanno una storia più recente (e controversa), ma abbiamo imparato a riconoscerle appese alle pareti scolastiche, in quella cartina politica dell'Italia tutta colorata, e ci siamo affezionati - anche se per la maggior parte sono diventate operative solo nel 1970: da lì in poi ogni progetto di federalismo ha dato per scontato che i mattoni dell'Italia fossero le regioni, il che probabilmente non ha giovato al federalismo stesso.

L'Italia era dunque fatta di Comuni, di Province, di Regioni. Ogni italiano era cittadino di un comune, di una provincia, di una regione. A un certo punto si sono fatte strada anche le Città Metropolitane, anche se il percorso è stato molto accidentato. L'idea originaria, mutuata da altre esperienze europee, era riconoscere uno status particolare alle province più popolate, quelle che gravitano intorno alle metropoli: e dunque Roma, Milano, Napoli, le altre altre sei province che raggiungono il milione di abitanti (Torino, Palermo, Bari, Catania, Firenze, Bologna), altre metropoli storiche (Genova e Venezia) e Reggio Calabria, non so il perché. Le regioni a statuto speciale hanno il diritto di promuovere altre province a Città metropolitane, e quindi la Sardegna ha incoronato Cagliari (neanche mezzo milione con tutta la provincia) e la Sicilia Messina, che poverina, tra Palermo Catania e Reggio si sarebbe sentita un po' la Cenerentola. Ma vabbe'.

In tutto gli abitanti di queste città metropolitane raggiungono la ragguardevole cifra di venti milioni di abitanti. Gli altri 40 milioni di italiani non abitano in una città metropolitana, ma in una provincia. O dovrei dire "abitavano", perché le province non esistono più. La riforma costituzionale le abolisce.

D'ora in poi alcuni cittadini saranno abitanti di un comune e di una regione (due livelli), e altri di un comune, di una Città metropolitana e di una regione (tre livelli). Che senso ha? Perché venti milioni di cittadini meritano tre livelli e altri quaranta soltanto due? Qual è la differenza, qual è la logica per cui chi abita a Reggio Calabria avrà tre livelli e chi abita a Crotone soltanto due?

Si risparmia.

Ma non si risparmiava di più a eliminare un intero livello per tutti? Perché lasciarlo soltanto per alcuni? Se è utile per loro, perché non dovrebbe essere utile anche per gli altri?

In realtà a veder bene gli italiani metropolitani non sono i favoriti dalla riforma. I non metropolitani, è vero, hanno perso il diritto di votare per i loro rappresentanti a livello provinciale. Ma anche se è stata completamente raschiata dalla costituzione la Provincia esiste ancora: ha conservato i vecchi confini ma è diventata un ente amministrativo di secondo livello, ovvero il presidente e i consiglieri sono eletti dai sindaci e dai consiglieri dei comuni che ne fanno parte. La Città metropolitana invece nella costituzione c'è ancora. Ma forse è incostituzionale.

Infatti non è più retta da un presidente di regione, ma di un "sindaco metropolitano" che è... il sindaco del capoluogo. Ovvero: gli abitanti del comune di Rho sono anche abitanti della Città Metropolitana di Milano, ma non votano per il sindaco metropolitano di Milano. Devono fidarsi di quello che hanno scelto per loro gli incliti abitanti di Milano, che è pur vero, in quella città metropolitana saranno la stragrande maggioranza.

E allora pensate all'abitante di Pozzuoli. Fa parte di una grande Città metropolitana di tre milioni di abitanti, e il suo sindaco metropolitano sarà De Magistris. Potrà votare per lui? No. Potrà votare almeno per un suo contendente? No. L'abitante di Pozzuoli verrà amministrato da un sindaco metropolitano per il quale non potrà votare. Pazienza, dirai, Pozzuoli è piccola e Napoli è grande. Maledetti fetusi, rispondo io, il comune di Napoli non fa un milione di abitanti e la sua Città metropolitana ne fa tre. Poi ve la prendete coi grillini ignoranti, ma chi è che ha lasciato passare una legge che trasforma gli abitanti del comune di Napoli in cittadini di serie A e quelli di Pozzuoli e tutta l'hinterland del Golfo - la maggioranza - in cittadini di serie B? Se poi il sindaco metropolitano privilegerà gli interessi dei primi a scapito dei secondi, ce la prenderemo con lui o con i pericolosi imbecilli che hanno fatto passare una legge del genere?

Vediamo dunque come il nuovo articolo 114 della Costituzione, combinato con l'oscena legge Delrio del 2014 trasforma il cittadino di Pozzuoli in un qualcosa di diverso al cittadino di Piadena (CR).

- Il cittadino di Pozzuoli può eleggere i suoi consiglieri comunali e il suo sindaco. Anche quello di Piadena.

- Il cittadino di Pozzuoli vota per eleggere il consiglio regionale della Campania e il presidente della stessa Regione. Il cittadino di Piadena vota per eleggere il consiglio regionale della Lombardia e il presidente della stessa Regione.

- Riguardo al livello intermedio (si dice "Area Vasta": la bruttezza si infila in ogni fessura), il cittadino di Piadena è amministrato dagli organi provinciali (consiglio provinciale, assemblea dei sindaci, presidente di provincia) della provincia di Cremona. Non li ha eletti lui - tranne il suo sindaco - ma sono stati eletti da un'assemblea di delegati eletti da tutti gli abitanti della provincia di Cremona, tra cui anche lui. Il cittadino di Pozzuoli no. Il cittadino di Pozzuoli si attacca. Bisognava risparmiare e si è risparmiato lì. Il cittadino di Pozzuoli abita in un'Area Vasta in cui comanda il sindaco di Napoli, eletto solo a Napoli. Fine.

Tutto questo secondo me è anticostituzionale, ma magari mi sbaglio. Però non mi sbaglio se dico che è brutto. Peraltro, se le province esistono ancora, perché Renzi ha voluto sbianchettarle da tutti gli articoli della Costituzione (riprendendo una vecchia proposta dell'Italia dei Valori)? Per cercare di ingraziarsi i grillini che sognano di tagliare milioni di budget con "l'abolizione delle province"? O perché è un modo di creare le premesse per abolirle davvero, in un secondo momento? In altre parole, visto che qui si crede che abolire le province sia un gesto sconsiderato: quando Renzi e Boschi parlavano di toglierle, quando le hanno cancellate dalla loro bozza di costituzione, erano sconsiderati in buona o cattiva fede? Non lo so e tutto sommato non m'interessa: non saprei neanche dire quale delle due possibilità mi sembra più grave. In entrambi i casi trovo il tutto brutto brutto in modo assurdo, e voto No.


1. Non si riscrive la carta costituzionale col martello pneumatico.
2. Non si usa una brutta legge elettorale come moneta di scambio.
3. Non mi piacciono le riforme semipresidenziali.
4. Meglio un Renzi sconfitto oggi che un Renzi sconfitto domani
5. Mandare 21 sindaci al senato è una stronzata pazzesca
6. Mandare sindaci al senato è davvero una stronzata pazzesca.
7. Nel nuovo Senato alcune Regioni saranno super-rappresentate, ai danni di altre
8. Si poteva scrivere meglio, ma non hanno voluto.
9. Di leggi ne scriviamo già troppe: non abbiamo bisogno di scriverne di più e più in fretta, ma di farle rispettare
10. Il numero di firme necessarie per richiedere un referendum abrogativo va aumentato e basta
11. Non è vero che sarà più facile approvare leggi di iniziativa popolare, non fate i furbi.
12. Dio ci scampi dai referendum propositivi.
13. Il Presidente della Repubblica non sarà necessariamente una figura sopra le parti.
14. Gli abitanti delle città metropolitane non avranno il diritto di eleggere i loro rappresentanti? Ma siete scemi?
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No, non sarà così impossibile eleggere un Presidente della Repubblica di parte

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Ma insomma questa riforma è tutta da buttare? Diciamo che ci sono cose assurde e altre quasi accettabili, che uno sarebbe tentato di mandar giù. L'elezione del presidente della Repubblica, dai, in fin dei conti potrebbe anche funzionare... Poi però accendi la tv, vai su internet, e ascolti gli imbonitori del sì, la loro retorica da fustino dixan fuori tempo massimo: lo stesso dettaglio che a te sembrava quasi passabile, cercano di vendertelo come una mountain bike col cambio shimano. Siori e Siori ci vogliamo rovinare! L'articolo 83 della nuova Costituzione è un baluardo contro qualsiasi deriva autoritaria!

Nientemeno?

Con l'articolo 83 della nuova Costituzione sarà matematicamente impossibile eleggere un Presidente della Repubblica che non sia al di sopra delle parti.

No, scusa, ripeti.

Con l'articolo 83 sarà ma-te-ma-ti-ca-men-te impossibile eleggere...

Hai detto matematicamente?

Ma-te-ma-ti-ca-men-te.

E va bene, vediamo questa matematica.

L’elezione del Presidente della Repubblica ha luogo per scrutinio segreto a maggioranza di due terzi della assemblea. Dal quarto scrutinio è sufficiente la maggioranza dei tre quinti dell’assemblea. Dal settimo scrutinio è sufficiente la maggioranza dei tre quinti dei votanti (dall'articolo 83 della Costituzione riformata).

L'attuale presidente della Repubblica è stato eletto il 31 gennaio 2015 con 665 voti su 1009. Siccome era la quarta votazione, il quorum necessario era appena sceso da 673 (due terzi dell'assemblea) a 505 (la metà più uno). Quindi la coalizione di governo, coi suoi 610 grandi elettori, avrebbe potuto eleggerlo da sola. In futuro invece di una coalizione potremmo avere un partito solo (se si continua a puntare sul maxipremio di maggioranza). Aumenta quindi il rischio che i capi del governo, forti della maggioranza alla Camera, facciano nominare al Quirinale un inquilino su misura - in fondo anche stavolta la sensazione è che Mattarella lo abbia scelto Renzi, litigandoci con Berlusconi: figuriamoci nel giorno in cui un post-Renzi guidasse un monocolore. Di fronte a questo grosso rischio, che alcuni chiamano deriva autoritaria e io chiamo presidenzialismo, gli imbonitori del Sì scuotono la testa: ma come, non avete visto il nuovo fiammante articolo 83? Di qui in poi sarà matematicamente impossibile imporre un candidato senza concertarlo con la minoranza.

Ma-te-ma-ti-ca-men-te.

Sarà. Senz'altro le discussioni si ridurranno, com'è ovvio che succeda in un'assemblea che si riduce di un terzo: dai mille-e-qualcosa di adesso a 730 (cento senatori più 630 deputati). Mettersi d'accordo è più facile quando siamo in meno: è anche più difficile mimetizzarsi nella folla, come fecero i misteriosi 100 che impallinarono Prodi nel 2013. Dunque durante i primi tre scrutini la maggioranza necessaria sarà di 487 grandi elettori, contro i 673 di adesso. Al quarto, se bastasse la maggioranza più uno come adesso, diventerebbero 366 anziché gli attuali 505. Ma con la nuova regola dei tre quinti, baluardo matematico contro la deriva autoritaria, ne serviranno 438. Se qualcuno d'ora in poi vi chiede la definizione matematica di baluardo democratico, ebbene, pare che in un'assemblea di 730 elettori essa si assesti intorno a 438-366=72. Settantadue voti. Un decimo dell'assemblea stessa. (Tre quinti meno un mezzo fa appunto un decimo). Ha un senso?

Magari persino sì, un senso ce l'ha. Ma sapete cosa c'è di buffo? Mentre i nostri nuovi padri costituenti decidevano che il voto di un decimo dell'assemblea è una garanzia democratica, negli stessi palazzi, a volte persino nelle stesse stanze, si stava pensando seriamente di assegnare a chi otteneva almeno il 40% dei suffragi il 54% dei seggi: quella simpatica legge che chiamiamo "Italicum", sulla quale Renzi decise di chiedere la fiducia al parlamento, e che è tuttora legge della repubblica (certo, hanno detto che la cambieranno. Ma prima bisogna mettere la crocetta sul Sì). Tra il 40% (252 seggi) e il 54% (340) c'è una differenza di 88 seggi. Ok, non ci eleggi un presidente della Repubblica, con 340 seggi. E chissà che situazione puoi trovare al senato. Ma intanto ricordiamo che l'Italicum voleva regalare 88 seggi al primo partito, per una questione di "governabilità". L'italicum sparirà, e cosa prenderà il suo posto? Non si sa.

Però quest'estate a Orfini piaceva il modello greco (quello che nel frattempo è stato abbandonato anche in Grecia). Un maxipremio al primo partito, senza ballottaggio. Nel parlamento greco (300 seggi), il maxipremio era di 50: un sesto dell'assemblea. Non è servito né a evitare crisi di governo, né governi di coalizione, né referendum inutili. Ma pensiamo a una cosa del genere in Italia: un centinaio di seggi alla Camera da regalare al primo arrivato per la "governabilità". Capite dove voglio andare a parare? Con una legge del genere, che forse è quella che è stata promessa a Cuperlo, non sarà poi così difficile per un partito trovare quei 438 voti necessari a eleggere come presidente della repubblica un caro vecchio amico non necessariamente super partes (anche Cuperlo - lo dico con simpatia, non sarebbe poi così male Cuperlo).

E comunque, se anche non riuscisse a trovarli, c'è sempre il settimo scrutinio. Da lì in poi il quorum dei tre quinti va ricalcolato sul numero di elettori che si presenta effettivamente a Montecitorio: se non entrano, il quorum diminuisce. Viene in pratica introdotto il silenzio-assenso. A cosa serve? A prima vista sembra una foglia di fico offerta alle minoranze per coprirsi coi loro elettori nel momento in cui cedono a un'offerta irrifiutabile. Mettiamo che abbiano tuonato davanti alle telecamere per giorni e giorni: "Noi Cuperlo mai!" Mettiamo che alla fine abbiano deciso, in cambio di qualcosa, di accettare pure Cuperlo. Non c'è bisogno di votarlo: basta uscire dall'aula e abbassare il quorum. Funzionerà? In altri tempi magari avrebbe funzionato, ma adesso come si fa? Uscire dall'aula ti espone ancora più che restare dentro. All'interno almeno il voto è segreto. Là fuori ci sono le telecamere, appunto, e se proverai a dire che tu non hai votato, che tu ti sei astenuto, ti rideranno in faccia. E un Cuperlo eletto in seguito al ritiro di un'intera delegazione di deputati o senatori non avrà molti motivi per considerarsi "presidente di tutti". Oggi tutto è discusso, tutto è condiviso, tutto è drammatizzato. È curioso che questa nuova generazione di padri costituenti non se ne sia resa conto: sono quelli che hanno l'iphone, mica il telefono a gettone. Eppure.

Ci sono poi altre possibilità di abbassare artificialmente il quorum: abbiamo già visto che un sindaco-senatore può essere in qualsiasi momento destituito dal suo consiglio comunale. Il voto decisivo per eleggere Cuperlo potrebbe saltar fuori dal consiglio comunale di Vipiteno! Se la situazione è grave si potrebbe anche mandare all'aria un consiglio regionale. Vengono sempre in mente quei vecchi conclavi in cui la mortalità dei cardinali impennava.

Ricapitolando: i riformatori sostengono che nessun partito, anche qualora trionfasse alle elezioni, potrebbe nominarsi un presidente della repubblica senza il consenso di almeno parte della minoranza. Questo perché anche dal quarto scrutinio in poi non basterebbe metà dell'assemblea (366 seggi), ma servirebbero i tre quinti (438). In realtà è difficile capire cosa potrebbe succedere, finché non sappiamo che legge elettorale sarà approvata; e in caso di legge elettorale alla greca, con maxipremio, quei 438 seggi potrebbero davvero essere a portata di mano del partito di maggioranza. Neanche la possibilità di abbassare il quorum ulteriormente, a partire dal settimo scrutinio, non calcolando gli elettori assenti, sembra una garanzia di pluralità: tutto il contrario. E quindi insomma neanche qui c'è nulla che mi spinga a votare Sì: e ho già tanti altri motivi, si è visto, per votare No:

1. Non si riscrive la carta costituzionale col martello pneumatico.
2. Non si usa una brutta legge elettorale come moneta di scambio.
3. Non mi piacciono le riforme semipresidenziali.
4. Meglio un Renzi sconfitto oggi che un Renzi sconfitto domani
5. Mandare 21 sindaci al senato è una stronzata pazzesca
6. Mandare sindaci al senato è davvero una stronzata pazzesca.
7. Nel nuovo Senato alcune Regioni saranno super-rappresentate, ai danni di altre
8. Si poteva scrivere meglio, ma non hanno voluto.
9. Di leggi ne scriviamo già troppe: non abbiamo bisogno di scriverne di più e più in fretta, ma di farle rispettare
10. Il numero di firme necessarie per richiedere un referendum abrogativo va aumentato e basta
11. Non è vero che sarà più facile approvare leggi di iniziativa popolare, non fate i furbi.
12. Dio ci scampi dai referendum propositivi.
13. Il Presidente della Repubblica non sarà necessariamente una figura sopra le parti.


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Referendum propositivi? Cosa potrà mai andare storto?

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Al fine di favorire la partecipazione dei cittadini alla determinazione delle politiche pubbliche, la legge costituzionale stabilisce condizioni ed effetti di referendum popolari propositivi e d’indirizzo, nonché di altre forme di consultazione, anche delle formazioni sociali (dall'articolo 71 della Costituzione riformata).

A proposito di leggi di iniziativa popolare: sono passati quasi due anni da quando Beppe Grillo presentò trionfante le 50.000 firme (raccolte in un week-end) che chiedevano l'istituzione del referendum propositivo. Il piano di Grillo, un po' tortuoso, prevedeva poi di raccogliere altre firme per indire un referendum che avrebbe proposto al governo di uscire dall'Euro (ripeto perché secondo me è bellissima: Grillo non ha mai direttamente chiesto di uscire dall'Euro; Grillo ha raccolto firme per proporre una legge che istituisse un referendum per proporre agli italiani di uscire dall'euro).

L'iniziativa di legge popolare m5s si è arenata, com'era ovvio: in compenso Renzi ha fatto inserire il referendum propositivo in Costituzione. Non è l'unico caso in cui i due sembrano in sintonia: Grillo tuona contro le auto blu, Renzi le mette su ebay. Grillo vuole tagliare gli stipendi ai politici, Renzi propone un senato di dopolavoristi. Grillo vuole chiudere Equitalia, Renzi la chiude. Grillo voleva il referendum propositivo. Renzi lo introduce. Cosa potrà mai andare storto? Si tratta solo di chiedere ogni tanto un parere al popolo. Ragionevole, no?

No, niente. 

Vi è piaciuta questa campagna elettorale? A me non è sembrata così violenta come dicono in giro, ma è anche vero che non guardo i talk show. Comunque pensate: tra un anno potremmo avere un bel referendum propositivo sull'Euro. Perché no? E chissà come andrà a finire, eh? Negli ultimi due anni abbiamo avuto due meravigliosi esempi: la Grecia e la Gran Bretagna. Parliamoci chiaro: Grillo è un populista, è il suo mestiere, lo fa con una certa grazia istintiva. No, non gli farei gestire il mio condominio (ma neanche lui si proporrebbe). Renzi per contro è un politico con ambizioni di statista. Cosa gli sta dicendo il cervello? Se dopo la calda estate greca del '15 e la Brexit del '16 ha ancora voglia di subire o indire referendum propositivi, qualcosa veramente non va. Non abbiamo già abbastanza problemi? Lo chiedo a tutti quelli convinti che se vincesse tra dieci giorni poi Renzi avrebbe campo libero per cinque o dieci anni: ma avete capito che campo minato ci aspetta se passano i referendum propositivi?

Il caso greco è particolarmente istruttivo. A inizio di luglio il governo greco chiede ai propri cittadini un parere sul pacchetto di misure proposte (imposte) da Bruxelles. Il popolo greco risponde di no - e d'altro canto sarebbe stato molto curioso il contrario. Ti chiedono un parere su aumenti di tasse e licenziamenti, cosa dovresti rispondere? No. Festa di piazza, il popolo ha parlato, Varoufakis si dimette, ufficialmente per non ostacolare le trattative. Tre settimane dopo il governo greco accetta un pacchetto di misure sostanzialmente più aspre di quelle che erano state sottoposte a referendum. Perché questo è il bello dei quesiti propositivi: fanno populista e non impegnano. In fondo Tsipras non aveva mica scritto sulla scheda "rifiuti qualsiasi tipo di pacchetto". Se ne rifiuti uno pesante, non è detto che quindici giorni non ti vada di mandarne giù uno più pesante. Però ti ho chiesto un parere, non è bello chiedere i pareri?

Ma perché Tsipras e Varoufakis chiesero un parere? Non erano già i legittimi rappresentanti del popolo greco, autorizzati dal voto popolare? In teoria sì. In pratica:


Come cercò di spiegare Varoufakis in uno dei tweet più belli di sempre: noi abbiamo preso solo il 36% dei voti, non ci si può mica aspettare che prendiamo una decisione tanto grave! Per una decisione del genere abbiamo bisogno almeno del 50%+1. Una dimostrazione più evidente di quanto sia sbagliato il maxipremio di maggioranza non si potrebbe avere - ci torno su perché a quanto pare il "modello greco" continua a interessare ai nostri riformatori: un bel premio di seggi al partito che arriva primo e amen. Ecco: in Grecia non solo non ha assicurato la governabilità (due elezioni in tre mesi), ma ha creato una specie di crisi di legittimità: quando rappresenti soltanto un terzo dei tuoi elettori, fai oggettivamente fatica a imporre agli altri due terzi delle misure impopolari. Sai benissimo che è la tua fine politica. E allora chiedi un parere: referendum consultivo. Ma funziona?

Il referendum di indirizzo è una strana creatura che sorge spontanea nella putrefazione dei corpi intermedi, e si nutre della mancanza di visione dei leader. Cameron è contrario a uscire dall'Unione Europea, ma non riesce a imporre la sua linea a parte dei Tories: indice un referendum (a cinque mesi dal voto sulla Brexit, i britannici non hanno ancora capito come usciranno dall'UE. Pensavano che non servisse un voto del Parlamento - l'Alta Corte ha detto che serve. Forse serve anche il parere di quello scozzese, di quello gallese, forse, non si sa). Grillo non osa dirsi contrario all'Euro: Grillo propone un referendum. Se poi crolleranno le borse non sarà mica stata colpa sua, lui mica voleva uscire, lui voleva solo chiedere un parere. Tsipras e Varoufakis vincono col 35% il gran premio delle elezioni greche, ma non hanno poi tutta questa voglia di recitare la parte dell'antipatico che impone le tasse anche al restante 65% - sicura garanzia di perdere il gran premio successivo. E allora indicono un referendum. Non sai quel che vuoi? Lo chiedi ai tuoi elettori, lo sapranno loro. I tuoi elettori hanno idee più confuse delle tue? Eh, sarà colpa del suffragio universale, dell'era postfattuale, delle notizie finte su facebook. E andiamo avanti così. Il referendum consultivo è il lato oscuro della governabilità: in teoria vai spedito, non accetti compromessi, e ci vediamo tra 5 anni. In pratica, appena ti tocca imporre una tassa in più, una norma in più, sei fregato. Sai che gli elettori se la prenderanno solo con te. Fai una mossa laterale: chiedi un parere al popolo. Provi a responsabilizzarlo. Cosa potrà mai andare storto? Non so, chiedete a Cameron: il popolo non vuole responsabilizzarsi e trascina il Paese in un guaio enorme. Chiedete a Tsipras: il popolo non vuole un pacchetto ma alla fine gliene fai mandare giù uno più pesante.

Io credo nella democrazia rappresentativa, che cerca di rimediare alla non specializzazione degli elettori offrendo loro delle figure intermedie, che sappiano dimostrare la propria competenza e autorevolezza. Non disprezzo chi raccoglie firme - è una degna forma di lotta - ma non credo nei plebisciti, non credo nelle scorciatoie populistiche. Si capisce che chi vuole governare senza avere il 50% del voto popolare sarà spesso tentato di indirne uno per rafforzare la propria posizione (in fondo è quello che Renzi sta facendo in questi giorni, salvo che adesso usa la Costituzione come pretesto). Mi sembra tutto sbagliato: credo che l'esecutivo deve essere espressione di una maggioranza solida, rappresentante una netta maggioranza del Paese, magari messa assieme mediante coalizioni, patti, alleanze e inevitabili compromessi. Credo nel meccanismo di delega, temo che trasformare i partiti in comitati elettorali li renda fragili e incapaci di articolare qualcosa che non sia funzionale alla carriera del leader di turno. I referendum propositivi rappresentano tutto quello che secondo me non va nella politica di oggi: ovviamente di fronte a questa brutta e miope riforma che cerca di introdurli voto No. (E non prendetevela con me se Grillo fa la stessa cosa: è lui l'incoerente).

(Gli altri motivi:
1. Non si riscrive la carta costituzionale col martello pneumatico.
2. Non si usa una brutta legge elettorale come moneta di scambio.
3. Non mi piacciono le riforme semipresidenziali.
4. Meglio un Renzi sconfitto oggi che un Renzi sconfitto domani
5. Mandare 21 sindaci al senato è una stronzata pazzesca
6. Mandare sindaci al senato è davvero una stronzata pazzesca.
7. Nel nuovo Senato alcune Regioni saranno super-rappresentate, ai danni di altre
8. Si poteva scrivere meglio, ma non hanno voluto.
9. Di leggi ne scriviamo già troppe: non abbiamo bisogno di scriverne di più e più in fretta, ma di farle rispettare
10. Il numero di firme necessarie per richiedere un referendum abrogativo va aumentato e basta
11. Non è vero che sarà più facile approvare leggi di iniziativa popolare, non fate i furbi.
12. Dio ci scampi dai referendum propositivi).
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Non fare il furbo con le leggi di iniziativa popolare, Matteo Renzi

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Ho questa idea, che a Matteo Renzi la democrazia partecipativa non interessi poi molto. Non è il suo genere - lui è un decisionista, uno che ha delle idee e le realizza: ascoltare le proposte degli altri non è nel suo stile. Le uniche riunioni a cui partecipa volentieri sono quelle in cui parla lui. Epperò si è ritrovato a scalare il potere nel periodo in cui tutti parlavano di democrazia partecipativa, e anche lui a un certo punto ha dovuto imparare la canzone e cantarla. A una Leopolda lanciò il Wikiprogramma: ve lo ricordate il Wikiprogramma? No, perché non è mai esistito. Un po' come "la piattaforma" del M5S: per molto tempo sia Renzi che Grillo hanno continuato a dire che avrebbero deciso gli attivisti sul web - senza preoccuparsi di fornire agli attivisti uno strumento. Alla fine Grillo ha mantenuto più di Renzi, il che è tutto dire. Però Renzi ha fatto riscrivere la Costituzione, e non ha senz'altro mancato l'occasione di farci entrare un po' di democrazia partecipativa, vero? Vero?

Lo si è già visto con l'approccio tiepido al referendum abrogativo: l'atteggiamento di Renzi è abbastaza gattopardesco. Si cambia qualche cosa per dare l'impressione che si stia cambiando qualche cosa. Nel caso dell'abrogativo, si ritocca appena appena la soglia del quorum quando si raggiungono le 800mila firme. In compenso avrete sentito dire che ha introdotto altri due strumenti: il referendum propositivo e le leggi di iniziativa popolare - queste ultime in realtà esistevano già, ma ora la Camera sarà obbligata a discuterle, mentre prima a quanto pare le lasciava in un cassetto. Gli avvocati del Sì insistono molto su questa cosa: prima raccogliere firme per presentare una legge in parlamento era fatica sprecata, mentre da qui in poi si cambia, vedrete che roba, discussoni sprint. Lo stesso Violante, in quello che rimane a oggi l'intervento più organico e autorevole in favore del Sì, lo fa presente un paio di volte: finalmente con la riforma il parlamento sarà obbligato a recepire le leggi di iniziativa popolare. Certo, servirà il triplo di firme in più, ma...

Il triplo di firme in più?

Chi è sopravvissuto agli anni Ottanta non ha probabilmente dimenticato uno slogan pubblicitario che ci si è inciso sulla corteccia cerebrale con la pura forza della reiterazione: "colore chiaro, è whisky di malto". Lo abbiamo sentito dire per anni anche se non bevevamo whisky, non avevamo nemmeno intenzione di cominciare, ma a furia di sentirlo ci siamo convinti che il colore chiaro fosse un dettaglio positivo: se è chiaro è malto, oh, lo dice la tv, sarà buono. Non è vero, un whisky chiaro è meno invecchiato, e quindi generalmente meno pregiato. Il pubblicitario in questione aveva deciso di prendere di petto uno dei difetti del suo prodotto, e trasformarlo in una bandiera: il mio whisky è buono perché è chiaro, e se ve lo dico tutte le sere, anche voi prima o poi ve ne convincerete. Tuttora qualche dubbio mi è rimasto.

Allora: si può discutere se le leggi di iniziativa popolare vadano incentivate o no. Ma il fatto che Renzi e Violante e altri vadano in giro a dire che grazie a questa riforma finalmente avremo leggi di iniziativa popolare è pura propaganda, delle più sfacciate: colore chiaro, sarà un buon whisky di malto. È vero l'esatto contrario: il tetto di firme necessarie a presentare una legge di iniziativa popolare alle camere sale a 150.000: il triplo di quante sono necessarie oggi. È giusto? È sbagliato? Se ne può parlare. Ma non ne state parlando. State cercando di convincerci che per avere più leggi di iniziativa popolare bisogna rendere più difficile raccogliere firme per presentarle. La guerra è pace, la libertà è schiavitù, la democrazia partecipativa è più facile se devi raccogliere tre firme invece che una.

Certo, una logica c'è: se ci sono meno iniziative di legge da presentare, quelle poche iniziative il parlamento le tratterà seriamente. Lo dice Violante: perché non fidarsi? Lo dice Renzi: perché non rasserenarsi?

Perché non c'è nessuna garanzia. Il nuovo articolo 71 recita, semplicemente: La discussione e la deliberazione conclusiva sulle proposte di legge d’iniziativa popolare sono garantite nei tempi, nelle forme e nei limiti stabiliti dai regolamenti parlamentari.

Tutto qui. Tre righe in cui si rimanda a un regolamento parlamentare che garantirà la discussione delle proposte di iniziativa popolare. Ovviamente il regolamento deve ancora essere scritto: prima bisogna mettere una crocetta sulla scheda, lì in basso dove sta scritto "SI". E anche stavolta tocca fidarsi. L'Italicum? Sì, faceva schifo, ma dopo lo cambiamo. Le iniziative popolari? Importantissime, importantissime, metti la crocetta e poi ce ne preoccupiamo.

Vedrete che alla Camera scriveranno un regolamento dove ogni legge di iniziativa popolare sarà portata in palmo di mano: coccolata, vezzeggiata. La faranno passare prima delle altre leggi, vedrete. Anche la Finanziaria dovrà accostare a destra quando passa la vostra Proposta di Legge di Iniziativa Popolare - con 150.000 firme, ma vuoi mettere?

Ah, e poi naturalmente l'abbatteranno senza pietà. Certo, che vi aspettavate, mica sono obbligati ad approvarla. Dicono soltanto che promettono di discuterne in fretta. E si fa prestissimo a segare una proposta di legge. Onorevoli, pronti? Uno, due, tre, premete il pulsante. Fatto.

Chi ci ha provato lo sa (io ci ho provato). Le iniziative popolari non servono a cambiare la legislazione: soprattutto quando vengono inviate a un parlamento apertamente ostile. Al massimo possono servire ad attirare l'attenzione mediatica su un argomento. Non ci legalizzi le droghe leggere - per fare un esempio - con un'iniziativa popolare da 150.000 firme: ed è giusto così, il parlamento rappresenta il Paese tutto, 35 milioni di elettori e più: perché dovrebbe darti la precedenza? Dietro c'è un'idea di democrazia partecipativa molto ingenua, a cui Renzi non smette di strizzare l'occhio: ma è peggio di un bluff. Dicono che sarà più facile presentare iniziative di legge, e triplicano il numero di firme necessarie. Dicono che però ne discuteranno più in fretta, in base a un regolamento che riscriveranno.

Non è tanto l'argomento in sé, perché davvero: le iniziative di legge popolare sono uno strumento poco incisivo, che al massimo serve a ottenere un po' di visibilità. Ma è questo atteggiamento da vecchi imbonitori che mi lascia indispettito. Non mi piace quando qualcuno prova a fregarmi. Magari ha ottimi motivi per farlo, magari deve portare a casa la pagnotta anche lui. Ma mi sta offendendo, è convinto che io sia un cretino. Non è tanto per l'autostima, ma è fondamentale che lui e gli altri sappiano che non sono un cretino, e quindi voto no.

(Gli altri motivi:
1. Non si riscrive la carta costituzionale col martello pneumatico.
2. Non si usa una brutta legge elettorale come moneta di scambio.
3. Non mi piacciono le riforme semipresidenziali.
4. Meglio un Renzi sconfitto oggi che un Renzi sconfitto domani
5. Mandare 21 sindaci al senato è una stronzata pazzesca
6. Mandare sindaci al senato è davvero una stronzata pazzesca.
7. Nel nuovo Senato alcune Regioni saranno super-rappresentate, ai danni di altre
8. Si poteva scrivere meglio, ma non hanno voluto.
9. Di leggi ne scriviamo già troppe: non abbiamo bisogno di scriverne di più e più in fretta, ma di farle rispettare
10. Il numero di firme necessarie per richiedere un referendum abrogativo va aumentato e basta
11. Non è vero che sarà più facile approvare leggi di iniziativa popolare, non fate i furbi, su).
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Il referendum tiepido di Matteo Renzi

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Io conosco le tue opere: tu non sei né freddo né fervente. Oh, fossi tu pur freddo o fervente! Così, perché sei tiepido e non sei né freddo né fervente io ti vomiterò dalla mia bocca. (Apocalisse, 3,15-16)

È indetto referendum popolare per deliberare l’abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente forza di legge, quando lo richiedono cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali (dall'art. 75 della Costituzione).

In Italia si fanno troppi referendum abrogativi. Sono consultazioni costose, che il più delle volte non portano a nessun risultato apparente (il quorum non viene raggiunto). Servono a movimenti minoritari e iper-minoritari per dimostrare a sé stessi e agli altri la propria vitalità; diffondono l'idea che l'attività legislativa del parlamento possa essere superata da periodiche consultazioni popolari - col piccolo problema che il popolo a queste consultazioni non si fa più vivo, o quasi. Però almeno gli scolari stanno a casa il lunedì (io odio i referendum abrogativi).

I critici del referendum abrogativo di solito si dividono in due frange: li chiameremo per comodità referendumari e antireferendumari. I primi ne vorrebbero di più (o almeno vorrebbero che funzionassero, abrogando leggi a tutto spiano); i secondi ne vorrebbero di meno, come probabilmente avevano previsto i padri costituenti, ai tempi in cui raccogliere 500mila firme doveva sembrare molto difficile. I referendumari spesso propongono l'abolizione del quorum: idea dissennata e irrealizzabile che annuncerebbe la fine della democrazia parlamentare, e che infatti Grillo, grande referendumaro, ha rilanciato più volte. I secondi, più timidi, hanno spesso suggerito di alzare l'asticella del numero di firme da raccogliere. Evidentemente 500mila sono poche; oggi c'è tutta un'industria della raccolta che è destinata ad affinarsi con le nuove tecnologie.

E Renzi? È un referendumaro o un antireferendumaro? Eh. Ne vuole di più o ne vuole pochi, ma veramente importanti? Eh, eh.

Decidete voi:

La proposta soggetta a referendum [abrogativo] è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto o, se avanzata da ottocentomila elettori, la maggioranza dei votanti alle ultime elezioni della Camera dei deputati, e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi (dall'art. 75 della Costituzione riformata).

Renzi cerca di tenere il piede in entrambe le staffe - non importa che appartengano a cavalli che tirano in direzioni divergenti. Renzi doveva decidersi: se voleva meno referendum, avrebbero dovuto portare il numero di firme a 800mila o un milione; se ne voleva di più, avrebbe dovuto abbassare il quorum. Incredibilmente - ma non inaspettatamente - ha provato a fare entrambe le cose. Un po' grillino e un po' casta. Il tetto delle firme resta a 500mila: indire referendum dunque continua a essere facile come adesso. E i referendum continueranno a essere inutili come adesso, a meno che le firme raccolte non siano 800mila.

In questo caso il quorum si ridurrà un poco: non si fermerà al 50%+1 degli aventi diritto, ma al 50%+1 di chi ha votato alle elezioni precedenti. Mi piacerebbe tanto conoscere il costituzionalista che ha suggerito questa cosa un po' folle - ma è quel tipo di follia in cui si intravvede un metodo, insomma, bisognava trovare un numero più basso di 50%, ma almeno non si è fissato un numero a caso come 40% - no, il numero lo estrarranno a sorte gli elettori, ogni volta che andranno a votare per la Camera: se ci vanno in 35 milioni, il quorum sarà 17,4 milioni; se ci vanno in 30, sarà 15, e così via. Ha un senso, no?

Sì, un pazzo senso ce l'ha (ho qualche sospetto su Calderoli, è quel tipo di cosa contorta che a lui piace). Siccome le leggi le scrive il parlamento, possono essere abrogate soltanto da una volontà popolare che sorpassi quella che ha eletto la maggioranza parlamentare. Metti che il parlamento voti a maggioranza una legge che introduce, boh, il casco ai ciclisti; il popolo la può abrogare. Ma se il parlamento è stato eletto da 35 milioni di italiani, ci si aspetta che al referendum vadano a votare altrettanti; sennò nisba. Ribadisco, un senso ce l'ha. Magari a quel punto non si capisce perché questa logica scatti solo oltre le 800mila firme: come mai si istituiscono dei referendum di serie A e dei referendum di serie B? (tra questi ultimi vanno inclusi i referendum richiesti da almeno cinque consigli regionali, come quello che c'è stato in primavera sulle trivellazioni: per quelli il quorum resta fisso al 50%+1 degli aventi diritto).

L'affluenza ai referendum abrogativi, dal '74 a oggi.
Io sono un convinto antireferendumaro: credo che i padri costituenti considerassero il referendum abrogativo come un evento eccezionale, di quelli che capitano una volta al massimo per generazione, come le guerre o le epidemie. Non immaginavano che i cattolici avrebbero cercato di usarlo per chiamare la maggioranza silenziosa alla conta dopo che il divorzio era passato alle camere (fallendo); non immaginavano la nascita di micro-movimenti parassitari dediti alla raccolta di firme, alla pubblicizzazione di sé stessi e all'incasso di contributi (però grazie ai radicali non abbiamo più il ministero dell'agricoltura, è un risultato importante). Non potevano pensare che i referendum sarebbero stati usati per dare una spallata impropria alla partitocrazia (legge elettorale nel 1991) o al berlusconismo (abrogazione del legittimo impedimento nel 2011). Non potevano pensare che a un certo punto il referendum sarebbe diventato un momento rituale, un gioco delle parti che il più delle volte rafforza lo status quo. Non potevano immaginare tutto questo e un po' li invidio.

L'illusione che il popolo si possa sostituire al parlamento e farsi legislatore diretto, scolpendosi le leggi a piacimento col martello pneumatico del referendum, non mi sembra soltanto pericolosa, ma anche ridicola. Nei fatti non funziona: se abolisci un ministero, lo riaprono con un nome diverso; se abolisci i finanziamenti ai partiti, in seguito dovrai abolire i rimborsi. Il fatto che questa riforma non faccia nulla per combattere questa illusione - anzi la lusinghi con l'idea di un super-referendum a quorum abbassato - mi sembra un buon motivo per votare No.

Grillo e gli altri referendumari invece voteranno No perché Renzi non ha fatto abbastanza per rendere i referendum più efficienti - anzi non ha proprio fatto nulla: ha solo introdotto una clausola che probabilmente non scatterà mai. E dunque vedete come funziona la cosiddetta accozzaglia antirenziana? Se Renzi non piace né agli uni né agli altri, è perché ha cercato in tante cose una via di mezzo. Non è né caldo né freddo, e come mandò a dire l'Angelo alla chiesa di Laodicea: se non sei né caldo né freddo, fai vomitare. Io voterò No, Grillo voterà No. Ma se il No vincerà non ci metteremo d'accordo. È più probabile che i renziani - che stanno in mezzo - vengano a patti: o coi referendumari, o con gli anti. Io credo nella seconda eventualità, e quindi voto No.

(Gli altri motivi:
1. Non si riscrive la carta costituzionale col martello pneumatico.
2. Non si usa una brutta legge elettorale come moneta di scambio.
3. Non mi piacciono le riforme semipresidenziali.
4. Meglio un Renzi sconfitto oggi che un Renzi sconfitto domani
5. Mandare 21 sindaci al senato è una stronzata pazzesca
6. Mandare sindaci al senato è davvero una stronzata pazzesca.
7. Nel nuovo Senato alcune Regioni saranno super-rappresentate, ai danni di altre
8. Si poteva scrivere meglio, ma non hanno voluto.
9. Di leggi ne scriviamo già troppe: non abbiamo bisogno di scriverne di più e più in fretta, ma di farle rispettare
10. Il numero di firme necessarie per richiedere un referendum abrogativo va aumentato e basta).
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Scriviamo già troppe leggi col bicameralismo perfetto (figuratevi senza)

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In Italia ci sono tanti problemi, e lo sappiamo. La corruzione, l'inquinamento, la crisi economica, il debito, le mafie, il traffico; e poi quello che per Renzi e gli altri ispiratori della riforma è il problema più grave di tutti, quello che una volta risolto ci consentirà di risolvere anche gli altri, ovvero che non si legifera abbastanza in fretta.

Non si legifera abbastanza in fretta.

È un punto di vista condiviso da esperti e studiosi, per esempio l'altro giorno sul Corriere Franco Bassanini spiegava che "la storia ha subito in questi anni un’accelerazione straordinaria". Adesso i legislatori devono scontrarsi con realtà nuove come "Globalizzazione, climate change, terrorismo globale, internet, digitalizzazione e cybersecurity". Non si può più perder tempo a rimpallare leggi tra Camera e Senato: non si può. Vedi cosa fanno all'estero. Cosa fanno all'estero?

Da: Valerio Di Porto, I numeri delle leggi. Un percorso
tra le statistiche delle legislature repubblicane.

Scrivono meno leggi di noi.

Il nostro bicameralismo perfetto, che senza dubbio ha tanti difetti e si poteva riformare (ma con un testo decente, non con questo sbrago) produce più leggi dei bicameralismi imperfetti di altri Paesi. Nota che anche loro stanno scoprendo la globalizzazione, i cambiamenti climatici, il terrorismo, e addirittura l'internet. Ma legiferano meno di noi. Come spiegare questo fatto?

Comincerei intanto a levarci le maschere. Quello che sta chiedendo Bassanini, dal Corriere, è un regime emergenziale. La Storia è di fronte a un'accelerazione improvvisa: da qui in poi ogni mese, ogni settimana, ogni giorno richiederà leggi nuove, e quindi è irrealistico immaginare di farle scrivere a due camere, a centinaia di persone. Quanto durerà quest'emergenza? Siccome quando la Storia accelera poi difficilmente rallenta, temo che per Bassanini i regimi parlamentari siano un relitto del passato da superare di slancio.

Quello che in generale né Bassanini né molti di noi sembra cogliere con chiarezza è la differenza tra potere legislativo ed esecutivo. Confesso, è sempre stato il concetto più ostico quando mi interrogavano su Montesquieu. Tra giudiziario e legislativo non avevo difficoltà, ma la differenza tra le mansioni di governo e parlamento mi ha sempre lasciato un po' perplesso: alla fine la mandavo a memoria e amen. Ho il sospetto di non essere stato l'unico - forse è una tendenza storica. Pensate a quanto ci siamo rimasti male perché Obama non ha rivoltato gli USA come un calzino. Non poteva: era esecutivo, non legislativo. Ci sembra un'ingiustizia. In Europa del resto abbiamo sempre pensato che l'esecutivo debba avere la fiducia della maggioranza del parlamento. Non solo, ma in Italia a un certo punto abbiamo dato per scontato che uno dei compiti più importanti del governo fosse inviare al parlamento decreti legge da approvare con una certa urgenza. È una tendenza che addirittura la riforma cerca di contrastare - però l'idea rimane potente: le leggi vanno scritte in fretta. Forse non è giusto che le scriva direttamente il governo, ma allora il parlamento deve darsi una mossa, perdio, basta ping pong.

Anche qui i numeri ci dicono una cosa diversa. Il ping pong si sta sensibilmente riducendo: le leggi che hanno il sostegno di una solida maggioranza vanno abbastanza spedite. Se invece questa maggioranza non c'è (vedi il ddl Cirinnà, o quello della Kyenge sulla cittadinanza), la legge si blocca. Senza dubbio togliere una camera risolverebbe il problema, ma non nel modo in cui a volte ci auguriamo: ovvero, senza Senato certe leggi non partirebbero nemmeno. Quelle leggi che magari all'inizio alla Camera lasciano perplessi i cani più sciolti di una maggioranza, che però alla fine la votano lo stesso perché "tanto poi la cassano al Senato"; al Senato invece ne riscrivono un pezzo e alla fine quando torna alla Camera è diventata una legge più votabile. Quelle leggi a volte diventano leggi grazie al ping pong, non malgrado il ping pong. È una mia sensazione e magari mi sbaglio; ma poi uno va a vedere e scopre che l'Italia produce più leggi di altre nazioni. Forse semplicemente perché abbiamo più parlamentari, e più camere dove proporle?

(Taciamo qui di tutti i disegni di legge che alla prima approvazione della Camera erano indecenti: tutti quei casi in cui il ping pong ci ha salvato da leggi scritte coi piedi e altri organi del corpo).

Ma facciamola più semplice. Nel Regno Unito legiferano meno di noi. Nel Regno Unito stanno peggio? Hanno il fianco più scoperto nei confonti di Globalizzazione, climate change, terrorismo globale, internet, digitalizzazione e cybersecurity? In un libro di qualche secolo fa, meno conosciuto di quanto dovrebbe essere, un romanziere con la stoffa di storico si perdeva in una lunga digressione sul proliferare di editti e di grida nella Milano spagnola del Seicento. C'era in quel periodo un'emergenza criminalità: le strade pullulavano di bande armate, perlopiù assoldate da nobili per difendersi da altre bande armate assoldate da altri nobili. Di fronte a una situazione del genere, l'autorità costituita reagiva prontamente emanando non una ma due, tre, quattro, sei leggi, tutte un po' diverse, tutte un po' uguali.

Se ne doveva dedurre - sosteneva il romanziere - che nessuna di queste leggi era stata applicata. A volte si legifera molto perché non si esegue niente. Se fossi ministro dell'istruzione renderei quel libro obbligatorio nelle scuole, perché è davvero molto chiaro e istruttivo. A un certo punto c'è un avvocato che solleva dalla sua caotica scrivania un foglio appena stampato e dice al suo cliente: ecco. Questa è la legge che fa al caso nostro: è la migliore perché è la più recente. Le leggi più fresche fanno più paura. Lo rileggevo un mese fa, nel mio comune era appena passata un'ordinanza molto restrittiva sulla circolazione delle automobili nel centro - del resto abbiamo più piombo nell'aria che a Città del Messico. Stavamo quasi pensando di rottamare una vecchia utilitaria. Poi ci siamo accorti che nessuno fa le multe e niente, ce la siamo tenuta. Però vedete com'è rapido il mio comune a legiferare quando c'è un'emergenza.

Per farla breve: pur concedendo che la Storia stia accelerando, io non credo che un regime emergenziale sia una buona idea; non penso che nel futuro ci serviranno continuamente leggi nuove, leggi fresche, leggi che fanno più paura perché quelle vecchie non le rispetta nessuno. Penso che abbiamo bisogno di poche leggi e buone, scritte bene ed eseguite con fermezza. Non sono un fanatico del bicameralismo perfetto, ma quello imperfetto disegnato dalla riforma non mi piace, e in generale trovo la Fretta una consigliera troppo ascoltata da Matteo Renzi. Senza contare che dopo di lui verranno altri, e chissà che leggi manderanno alla Camera, chissà che roba ne salterà fuori. Mi sembra un rischio da evitare e quindi voto No.

(Gli altri motivi:
1. Non si riscrive la carta costituzionale col martello pneumatico.
2. Non si usa una brutta legge elettorale come moneta di scambio.
3. Non mi piacciono le riforme semipresidenziali.
4. Meglio un Renzi sconfitto oggi che un Renzi sconfitto domani
5. Mandare 21 sindaci al senato è una stronzata pazzesca
6. Mandare sindaci al senato è davvero una stronzata pazzesca.
7. Nel nuovo Senato alcune Regioni saranno super-rappresentate, ai danni di altre
8. Si poteva scrivere meglio, ma non hanno voluto.
9. Di leggi ne scriviamo già troppe: non abbiamo bisogno di scriverne di più e più in fretta, ma di farle rispettare).
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Davvero l'articolo 70 non si poteva riscrivere meglio?

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Questa riforma è brutta. Mi sono accorto di averlo scritto spesso, richiesto o no, quando mi capitava di assistere a una conversazione sulla riforma: non dannosa, non inutile, non pericolosa: brutta. Come se fosse più grave, e magari non lo è.


Ma cosa significa "brutto", se si sta parlando di leggi? Forse cerco solo di spostare la discussione in un campo più congeniale, perché di leggi non mi intendo (di bruttezza invece sì?) Se dico che una ripartizione dei seggi mi sembra iniqua, sto giocando a fare il costituzionalista e non lo sono. Se dico che è brutta, beh, de gustibus. Ma in cosa consiste, per me, la bruttezza di una legge?

Sto per introdurre - qualcuno l'avrà già sospettato - il famigerato articolo 70: quello che nella stesura originale recitava semplicemente: La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere, e adesso dice così:

La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere per le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali, e soltanto per le leggi di attuazione delle disposizioni costituzionali concernenti la tutela delle minoranze linguistiche, i referendum popolari, le altre forme di consultazione di cui all’articolo 71, per le leggi che determinano l’ordinamento, la legislazione elettorale, gli organi di governo, le funzioni fondamentali dei Comuni e delle Città metropolitane e le disposizioni di principio sulle forme associative dei Comuni, per la legge che stabilisce le norme generali, le forme e i termini della partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea, per quella che determina i casi di ineleggibilità e di incompatibilità con l’ufficio di senatore di cui all’articolo 65, primo comma, e per le leggi di cui agli articoli 57, sesto comma, 80, secondo periodo, 114, terzo comma, 116, terzo comma, 117, quinto e nono comma, 119, sesto comma, 120, secondo comma, 122, primo comma, e 132, secondo comma. Le stesse leggi, ciascuna con oggetto proprio, possono essere abrogate, modificate o derogate solo in forma espressa e da leggi approvate a norma del presente comma.

(In realtà questo è solo il primo comma; ce ne sono altri sei, meno brutti: ma la visione d'insieme è, come dire, notevole).

In questi lunghi mesi di campagna l'articolo 70 comma 1 è stato spesso sbeffeggiato con quel genere di foga bullistica che in me ottiene sempre l'esatto contrario: mi fa venir voglia di intervenire in favore dello sgorbio. Lasciatelo stare, poverino, mica è colpa sua se l'hanno scritto così. C'è anche chi ha provato a difenderlo: per essere brutto è brutto, nessuno lo nega, ma c'è un motivo per cui non si poteva concepirlo meglio. Lo dice gente esperta di legge, e io non lo sono, per cui potrei fidarmi.

Ma non ci riesco. A me sembra davvero scritto brutto apposta. Guardate quel "soltanto" alla seconda riga. L'estensore ha appena iniziato un elenco di situazioni in cui le due Camere eserciteranno insieme la funzione legislativa. Si capisce che gli preme far notare che la cosa non succederà spesso, e quindi usa l'avverbio "soltanto". Seguono dodici righe di eccezioni. Evidentemente qualcosa non è andata per il verso giusto, ma a quel punto almeno si poteva togliere "soltanto". Non c'era nessun motivo di lasciarlo lì.

Da grafomane conosco bene la situazione. A volte mi metto a scrivere un'eccezione, poi ne trovo altre ventinove, nel frattempo si è fatto tardi e a volte nemmeno rileggo perché mi addormenterei. Quando mi capita di ridare un'occhiata mi faccio schifo, ma c'è da dire che tengo un blog: se mi capitasse di riscrivere la legge fondamentale della mia Repubblica, userei qualche attenzione in più. La farei rileggere ai miei amici, e colleghi, dieci volte, cento volte. Il tempo non dovrebbe essere il problema: non credo proprio che avrei qualcosa di più importante da fare nel frattempo.

Ecco, forse ho trovato la risposta. Cos'è il brutto per me? È qualcosa che non è semplicemente sgraziato, ma lo è volutamente, pervicacemente, come per attirare l'attenzione: non un difetto di natura, ma il difetto di natura messo in scena con fuori la fila per pagare il biglietto. Un articolo di legge può essere difficile da leggere; a volte è inevitabile che sia così. Ma questa volta era davvero così inevitabile?

Art. 70
Le due Camere esercitano insieme la funzione legislativa nei seguenti casi:
(a) eventuali leggi costituzionali o di revisione costituzionale;
(b) leggi di attuazione delle disposizioni costituzionali in materia di tutela delle minoranze linguistiche;
(c) referendum popolari e altre forme di consultazione previste dall'art. 71;
(d) leggi relative ai Comuni e alle Città metropolitane (ordinamento, legislazione elettorale, organi di governo, funzioni fondamentali, disposizioni di principio sulle forme associative);
(e) leggi relative alle politiche comunitarie dell'Unione Europea (norme generali, forme e termini della partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e delle politiche comunitarie);
(f) casi di ineleggibilità e di incompatibilità con l'ufficio di senatore di cui all'articolo 65, primo comma, e per le leggi di cui agli articoli 57, sesto comma, 80, secondo periodo, 114, terzo comma, 116, terzo comma, 117, quinto e nono comma, 119, sesto comma, 120, secondo comma, 122, primo comma, e 132, secondo comma;
le stesse leggi, ciascuna con oggetto proprio, si possono abrogare, modificare o derogare solo in forma espressa e da leggi approvate a norma del presente comma.

Ecco qui. L'ho riscritto. Ci ho rimesso dieci minuti. È ancora brutto, ma almeno si intravede una sagoma, un senso. E ho tolto quel "soltanto", che sembra una presa in giro. Adesso non è più un brutto da circo; è un brutto noioso, è un bruttino che si impegna, che cerca di vestirsi bene ed essere simpatico a tutti, nella speranza che dopo un po' qualcuno si dimentichi che, in effetti, è pur sempre brutto.

È quel brutto che alla Boschi e a Renzi non interessa. Mi sembra che la loro filosofia, opposta alla mia, si possa sintetizzare così: se devi fare schifo, almeno fa' schifo alla grande. Fallo con arroganza, fallo che si veda da lontano. Fa' in modo che tutti sappiano non solo che fai schifo, ma anche che te lo puoi permettere. Guarda quanto siamo arrivati lontano, senza nemmeno sapere scrivere in italiano. E credi che impareremo adesso? No way, siete voi plebe che dovrete sforzarvi di capirci. Ora vi vandalizziamo la carta costituzionale e poi ve la facciamo votare col ricatto dello spread. Potremmo fare meglio di così? Certo. Non sarebbe neanche così difficile. Ma non sarebbe divertente, non saremmo noi.

Il comma 1 dell'articolo 70 sarebbe discutibile anche se a riscriverlo avessero resuscitato Italo Calvino. Potrebbe essere considerato il simbolo di una riforma che era partita per semplificare e si è complicata da sola strada facendo. Il fatto che sembri invece messo giù da uno stagista in affanno non è accidentale. Forse è inevitabile - la Fretta è un po' la grande ispiratrice di gran parte dell'azione di governo renziana. La traccia che la mia generazione lascerà sulla carta costituzionale sarà uno sbrago fatto in fretta e furia perché sennò l'Unione Europea, i mercati, Napolitano, le cavallette. E se non ci sbrighiamo poi non si potrà mai più far niente. Perché? Non si sa. I grillini, i fascisti, il riscaldamento globale, insomma o si cambia la costituzione in mezz'ora o non si cambia più. L'abbiamo riscritta male? Beh sì, ma prendere o lasciare.

Secondo me si poteva scrivere meglio, e quindi voto no.

(Gli altri motivi:
1. Non si riscrive la carta costituzionale col martello pneumatico.
2. Non si usa una brutta legge elettorale come moneta di scambio.
3. Non mi piacciono le riforme semipresidenziali.
4. Meglio un Renzi sconfitto oggi che un Renzi sconfitto domani
5. Mandare 21 sindaci al senato è una stronzata pazzesca
6. Mandare sindaci al senato è davvero una stronzata pazzesca.
7. Nel nuovo Senato alcune Regioni saranno super-rappresentate, ai danni di altre
8. Si poteva scrivere meglio, ma non hanno voluto.
).
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Un molisano, nel nuovo Senato, varrà cinque marchigiani (ma perché?)

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Premessa inutile: vi capita mai di accendere la tv, trovare Affari Tuoi e domandarvi dove riescono a trovare ancora concorrenti valdostani? Una volta ho cercato di fare il calcolo - non ci sono riuscito - in ogni caso Affari Tuoi va in onda da più di dieci anni e calcolando in media un concorrente valdostano ogni venti puntate (tre settimane), ormai tutti i paesi della piccola regione dovrebbero avere la loro quota di veterani dei pacchi. L'idea che ogni sera il concorrente valdostano abbia le stesse chance di giocare di quello della Lombardia, dove abitano quasi 10 milioni di persone, non è bizzarra ai limiti dell'iniquità? Non lo so. Ma so che chiunque abbia scritto la riforma costituzionale, una domanda del genere non se l'è mai posta. Eh, beh, certo, aveva di meglio da fare. Ma giudichiamo dai risultati.

Il modello del nuovo Senato.
Nel nuovo Senato post-riforma, che dovrà rappresentare "le istituzioni territoriali ed esercita[re] funzioni di raccordo tra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica", le istituzioni territoriali saranno rappresentate in modo approssimativo e bislacco. Della bizzarra idea di mandare un sindaco per regione abbiamo già diffusamente parlato: per come la giri non ha senso, è un capriccio di un ex sindaco e del suo staff che nessuno è riuscito a far ragionare. In una prima fase c'era anche l'idea molto americana di assegnare a ogni regione lo stesso numero di senatori, alla Lombardia come al Molise: poi si sono accorti che i lombardi sono 30 volte più dei molisani e che a quel punto certe loro tentazioni secessionistiche sarebbero più che motivate (persino io andrei a iscrivermi alla Lega la sera stessa), e finalmente fu reintrodotto nella bozza il sacrosanto principio della proporzionalità, in questo comma (art. 2 della riforma, 57 del nuovo testo costituzionale:)

La ripartizione dei seggi tra le Regioni si effettua, previa applicazione delle disposizioni del precedente comma, in proporzione alla loro popolazione, quale risulta dall’ultimo censimento generale, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti.

Questo è molto buffo, perché non è vero. Cioè se leggi qui sembra che ogni regione avrà un numero di senatori proporzionato agli abitanti. In ogni parte d'Italia, a tot abitanti dovrebbe corrispondere un senatore. Giustissimo principio, che però viene completamente falsato dall'"applicazione delle disposizioni del precedente comma" che precisa:

Nessuna Regione può avere un numero di senatori inferiore a due; ciascuna delle Province autonome di Trento e di Bolzano ne ha due.

Che è come scrivere, in un comma: "il prossimo senato sarà tondo", e nel comma precendente: "il prossimo senato deve avere almeno tre angoli". Cioè se hai 100 senatori da assegnare - anzi 95 perché gli altri li nomina il Presidente della Repubblica, e due li devi dare a tutti, comprese alle regioni che non arrivano all'1% della popolazione, come Val d'Aosta e Molise, e le province di Trento e Bolzano... che senso ha parlare di "proporzione"? Sarà una proporzione completamente falsata. Eccola qui (rubo i dati da http://politics.ildavid.com/23)

RegioneabitantiPercentuale sulla popolazionesenatoriAbitanti per ogni senatore
Valle d’Aosta1268060,11%263403
Molise3136600,53%2156830
Prov. Bolzano5046430,85%2252322
Prov. Trento5248320,88%2262416
Basilicata5780360,97%2289018
Umbria8842681,49%2442134
Sardegna16393622,76%3546454
Friuli-VG12189852,05%2609493
Piemonte43639167,34%7623417
Campania57668109,70%9640757
Calabria19590503,30%3653017
Abruzzo13073092,20%2653655
Puglia40525666,82%6675428
Lazio55028869,26%8687861
Lombardia970415116,33%14693154
Veneto48572108,17%7693887
Sicilia50029048,42%7714701
Emilia-Rom43421357,31%6723689
Toscana36722026,18%5734440
Marche15413192,59%2770660
Liguria15706942,64%2785347

Il prossimo senato sarà talmente proporzionato che un senatore valdostano rappresenterà 63mila concittadini - gli abitanti di una piccola cittadina; un senatore ligure ne rappresenterà quasi 800mila. Avranno entrambi un voto al Senato. Se vi sembra equo, proporzionale, sensato, votate pure Sì a questa riforma, che posso dirvi.

Vedi tu a volte un confine che può fare: se nasci a San Severo di Puglia hai diritto a un senatore ogni 670mila abitanti; se nasci 30 km più a nord, in Molise, puoi godere di un senatore ogni 150mila abitanti. Perché? Non c'è un perché, o almeno non c'è un perché che sia decente spiegare. Volevano il senato leggero e ci hanno messo cento sedie; però gli altoatesini - meno dell'1% della popolazione - volevano almeno due posti, e chi era Renzi per privare gli altoatesini delle loro due seggioline? La minoranza linguistica, sai. Ma a quel punto però bisogna darle anche ai trentini, a cui sin dai tempi di De Gasperi spetta tutto ciò che spetta agli altoatesini - è il trauma di essere stati austriaci fino al 1918, che non passa e a questo punto non passerà mai - ed ecco che quattro posti già sono riempiti. Ma a quel punto vuoi non darne un numero eguale anche ai valdostani, ai lucani? E i friulani-giuliani che sono, i figli delle serve? Con tanti saluti al principio di proporzionalità.

Michele Ainis ritiene che l'articolo 39 possa rendere gli Statuti speciali delle regioni autonome "più garantiti della Costituzione medesima" (creando di fatto cinque Stati nello Stato, con un'autonomia a prova di revisione parlamentare). Mettiamo che si sbagli. Possiamo comunque accettare che i privilegi di trentini, altoatesini, valdostani, ecc., non saranno ritoccati mai più: anzi, la riforma va in senso contrario, assicurando a quei due milioni scarsi di cittadini che il loro status di italiani di serie A è riconosciuto da una quota blindata di seggi nel Senato; e i liguri, con tutti i loro problemi di dissesto idrogeologico che renderanno nei prossimi anni necessari interventi emergenziali col benestare dell'Unione Europea, se ne possono pure sprofondare nell'omonimo mare, o votare il demagogo locale che comunque difficilmente potrà rifare il Senato da capo.

Nel caso ci provasse, però, io sarò con lui. Le autonomie che avevano un senso e una necessità nel 1945, andavano ridiscusse già trent'anni fa; se passa questa riforma le consegneremo ai posteri che un paio di domande se le faranno, e si daranno anche un paio di risposte. Mi sembra un altro valido motivo per votare No al referendum. 

7. Nel nuovo Senato alcune Regioni saranno super-rappresentate, ai danni di altre).
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Altri ragionevoli motivi per cui mandare 21 sindaci in Senato è davvero una stronzata pazzesca

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L'Amleto di Gorgonzola. 

Ancora sull'elezione in Senato dei 21 sindaci, perché davvero, è una cosa che più ci rifletti meno senso ha. Per quanto io possa capire le obiezioni: in fondo ci sono un sacco di sindaci che vanno a Roma per curare gli interessi del loro comune.

Ma lo fanno anche a Cuneo dunque, non sapevo.
Sì. Del loro comune, non della loro regione. Metti che il sindaco di Gorgonzola si ritrovi a dover deliberare in fatto di formaggi DOP. Difenderà gli interessi del suo specifico comune o di quello di un eventuale gruppo di comuni limitrofi che richiede all'Unione Europea il permesso di produrre un formaggio molto simile con la stessa denominazione - danneggiando Gorgonzola? Capite che c'è almeno un conflitto di interessi qui? (Siamo passati dalla fase in cui li ignoravamo alla fase in cui li stiamo coltivando, questi conflitti).

Un sindaco che si trovi in una situazione del genere rappresenta gli elettori che lo hanno installato nel suo municipio o i consiglieri regionali che l'hanno portato a Roma? Dite: in questo caso dovrebbe rappresentare i secondi, che lo hanno portato a Roma. Certo. Peccato che

1. I consiglieri regionali, una volta che lo hanno mandato a Roma, non lo possono far decadere; i suoi consiglieri comunali sì!
2. Chi lo paga? Ops! Non lo pagano per stare a Roma. Lo pagano per fare il sindaco di Gorgonzola. E quindi perché gli dovrebbe fregare qualcosa degli incliti abitanti di Orio al Serio? Li rappresenta solo part-time, ed è quella part del suo time che al limite gli vale un rimborso spese.


Trasformismo 2.0

Una volta installato, il nuovo Senato non si dovrebbe sciogliere più. Sindaci e consiglieri che rappresentano una regione si rinnovano a ogni elezione regionale. Se in mezzo un sindaco decade, dovrebbe essere rimpiazzato da un sindaco dello stesso schieramento - ma gli schieramenti possono cambiare, chi è berlusconiano può diventare verdiniano può diventare renziano può diventare qualsiasi cosa. Trasformismo è parola ottocentesca, c'era ai tempi dello Statuto Albertino. Forse è possibile combatterlo per via legislativa, ma la riforma Boschi-Renzi non fa questo. La riforma Boschi-Renzi col trasformismo ci va a nozze. Sentite questa.

Decade un sindaco di centrosinistra. Il consiglio regionale che dovrebbe eleggere il rimpiazzo ha una solida maggioranza di centrodestra, però per rispettare lo "spirito dell'articolo 57" deve eleggerne uno di centrosinistra. A quel punto un qualunque sindaco di centrodestra convoca una conferenza stampa e dice: ho cambiato idea, adesso sono un sindaco di centrosinistra. Straccia una tessera, se ne fa dare un'altra: chi può impedirglielo?

E chi può impedire ai consiglieri di quella regione di mandarlo al Senato?

E chi può impedire allo stesso sindaco di cambiare idea il giorno dopo? C'è il vincolo di mandato? Se c'è dove sta? Magari c'è e me ne sono accorto, non chiedo di meglio. Sul serio, spero di sbagliarmi, perché al di là che vinca il Sì o il No, l'idea che in parlamento siedano simili legislatori mi inquieta e non poco.


Il presidente si elegge a Forlimpopoli

Come vedremo forse più in là, la riforma introduce qualche bizantinismo anche nell'elezione del Presidente della Repubblica, che a un certo punto (dopo il settimo scrutinio) non richiede più la maggioranza assoluta dei parlamentari (in realtà i tre quinti), ma la maggioranza assoluta dei votanti. Quindi un presidente inviso ai più potrebbe comunque essere eletto col tacito consenso di parlamentari che invece di votare si assentassero, abbassando il quorum necessario. Chiunque abbia scritto tutto questo aveva in mente scenari di crisi da risolvere con tatticismi sfrenati, più che con l'elezione di figure super partes. Ma tant'è.

Mettiamo che neanche così un presidente si riesca a trovare: un altro modo di abbassare il quorum è mandare all'aria il consiglio comunale di qualche sindaco-senatore riottoso, che so, di Forlimpopoli, e poi andare a votare svelti prima che il consiglio regionale mandi un rimpiazzo. Sembrano cose assurde finché un giorno non succedono. Il vizio è in partenza: mandare in Senato persone che possono essere sfiduciate a Forlimpopoli. Dite: ci sono già sindaci senatori col doppio incarico. Vero. Ma se li sfiduciano a Forlimpopoli, restano senatori. E se si scioglie il Senato, restano sindaci. No, voi volete mandare a Palazzo Madama qualcuno che può essere licenziato a Forlimpopoli, con una spada di Damocle che può dipendere dall'umore di un qualsiasi centro abitato. In Germania fanno così, dite. Natürlich. Allora, magari non succederà così spesso che un presidente della Repubblica si elegga grazie a una crisi municipale a Forlimpopoli. È solo un'ipotesi. D'accordo.

La cialtronaggine di chi ha scritto questa roba non è un'ipotesi. È un dato acquisito. Magari l'acqua non uscirà proprio da questo buco, ma mi posso fidare di chi cerca di vendermi un testo con tutti questi buchi? Credo proprio sia necessario votare no al referendum.

(Gli altri motivi:
1. Non si riscrive la carta costituzionale col martello pneumatico.
2. Non si usa una brutta legge elettorale come moneta di scambio.
3. Non mi piacciono le riforme semipresidenziali.
4. Meglio un Renzi sconfitto oggi che un Renzi sconfitto domani
5. Mandare 21 sindaci al senato è una stronzata pazzesca
6. Mandare sindaci al senato è davvero una stronzata pazzesca).
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Mandare 21 sindaci al Senato è una stronzata pazzesca

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Dopodiché, ok, entriamo nel merito.

Il Senato della Repubblica è composto da novantacinque senatori rappresentativi delle istituzioni territoriali e da cinque senatori che possono essere nominati dal Presidente della Repubblica. I Consigli regionali e i Consigli delle Province autonome di Trento e di Bolzano eleggono, con metodo proporzionale, i senatori fra i propri componenti e, nella misura di uno per ciascuno, fra i sindaci dei comuni dei rispettivi territori. (Articolo 57 della Costituzione secondo l'articolo 2 della riforma Boschi/Renzi).

Avrete sentito dire che proprio nel giorno in cui Salvini cercava visibilità a Roma, a Padova gli siluravano il sindaco, uno dei suoi fedelissimi. Lo avrete sentito dire anche se non siete padovani né veneti, perché in Italia spesso funziona così: la lotta politica nazionale si conduce quartiere per quartiere, ente locale per ente locale. Magari c'erano localissimi motivi per togliere la fiducia a quel sindaco; magari qualche consigliere seguiva anche istruzioni che venivano da Roma o Milano. Insomma succede spesso, in Italia, che l'esigenza dei cittadini di scegliere un sindaco che sappia interpretare le loro richiesta passi in secondo piano rispetto a quella di mandare segnali a Salvini, o a Renzi, persino a Grillo. Ed è un peccato, perché l'Italia non ha solo bisogno di un buon governo, ma anche (e soprattutto) di migliaia di sindaci che sappiano fare il loro mestiere, restando il più possibile vicini ai cittadini e indifferenti alle beghe di palazzo. Renzi questa cosa dovrebbe saperla, Renzi è stato sindaco e metteva piede a Roma lo stretto necessario.

Invece Renzi ha deciso che, su 100 senatori, 21 saranno sindaci. Non ex sindaci: primi cittadini, eletti nei loro comuni, e poi elevati al rango di senatori dal loro consiglio regionale. Potrebbero essere sindaci di una grande città o di un paesino di campagna; potrebbero rappresentare la maggioranza o la minoranza presso il rispettivo consiglio regionale; non importa tutto ciò, l'importante è che siano sindaci pagati con i soldi con cui si pagano i sindaci: così si risparmia.

Non è mia intenzione fare satira adesso qui: vorrei semplicemente cercare di spiegarmi e spiegare i punti che ritengo più controversi di un articolo di legge che forse tra un mese sarà nella Costituzione del mio Paese. Però non intendo nemmeno abusare in diplomazia: questa è una delle cose più cretine che io abbia mai sentito in vita mia. Pescare un sindaco a regione. Uno solo. Perché?

No, non importa il perché, davvero: la genesi di questa scemissima idea, partorita in una di quelle leopolde traboccanti di acritico entusiasmo in cui contava più la musica che le parole; sopravvissuta a una lunga scrematura di stronzate (per un po' i senatori dovevano essere due per regione, indifferentemente dalla popolazione, una roba che avrebbe fatto votare Lega Nord persino a me), e alla fine stampata ben bene in una legge approvata da una piccola maggioranza parlamentare che alla fine mi vergogno ugualmente di aver sostenuto. Un quinto dei senatori saranno sindaci: gente che dovrebbe svegliarsi ogni mattina nel proprio territorio, guardarsi attorno, discutere con gli abitanti, eh no; devono andare a Roma a fare cose per ora nemmeno molto definite, come partecipare "alle decisioni dirette alla formazione e all’attuazione degli atti normativi e delle politiche dell’Unione europea" (cioè?), valutare "le politiche pubbliche e l’attività delle pubbliche amministrazioni e verifica l’impatto delle politiche dell’Unione europea sui territori": a Bruxelles staranno tremando, ma lo sapete che a Roma stanno facendo un'assemblea che ci valuta, tutta di gente che in quel momento dovrebbe essere altrove?

A chiunque ha scritto questa roba, e ha continuato a difenderla in questi mesi, manca una delle fondamentali dimensioni dell'intelligenza, ovvero la fantasia. Cioè non ha passato neanche cinque minuti a provare a immaginare questi sindaci divisi tra la loro città e un Senato in cui per la maggior parte del tempo si discute oziosamente di regolamenti UE. O saranno buoni sindaci o saranno buoni senatori, e in molti casi non saranno nessuna delle due cose. (Come se non sapessimo che super-impegnarsi è l'alibi di qualsiasi mentecatto che, non sapendo finire nulla, almeno ha la scusa di essere indaffarato in due o tre cose diverse: come se non lo vivessimo ogni giorno sulla nostra pelle).

"Tanto che importa, no? Quel senato è perlopiù inutile" (ma allora perché non l'hanno abolito?)

Eh, invece no. Per la maggior parte del tempo, concedo, sarà inutile: una cosa che sembra lasciata aperta perché chiuderla avrebbe richiesto uno sforzo in più. Poi, quando meno te lo aspetti diventa fondamentale. Per esempio, ha voce in capitolo nelle proposte di riforma costituzionale: quindi o prima o poi voterà per abolire sé stesso, o ce lo terremo per sempre come esce da questa riforma, deforme e insensato. E poi il senatore vota per il presidente della Repubblica, non dimentichiamo. E mettiamo che un partito stia cercando i numeri per eleggere un presidente della Repubblica. Gliene manca una manciata: non sarebbe la prima volta, no? Ci sono due o tre sindaci che proprio non collaborano. Che si fa?

Possiamo telefonare ai loro consiglieri comunali e farli sfiduciare da loro.
Proprio così? La prosecuzione della politica nazionale sul territorio?
Proprio così. Se un senatore decade da sindaco, decade anche da senatore.
"Cioè mi stai dicendo che da qui in poi l'elezione del presidente della Repubblica potrebbe passare dal consiglio comunale di Ladispoli?"
Te lo sto dicendo. E non solo il Quirinale: anche le leggi di riforma costituzionale. Mancano due voti per il quorum? Mandiamo a casa due giunte.
"No, no, aspetta. Quando un sindaco decade, che succede?"
Il consiglio regionale dovrebbe eleggerne un altro.
"Ma ne eleggerà un altro dello stesso schieramento politico, no? Dovrebbe essere tenuto a farlo da... da..."

Da questo comma: Con legge approvata da entrambe le Camere sono regolate le modalità di
attribuzione dei seggi e di elezione dei membri del Senato della Repubblica tra i consiglieri e i sindaci, nonché quelle per la loro sostituzione, in caso di cessazione dalla carica elettiva regionale o locale. I seggi sono attribuiti in ragione dei voti espressi e della composizione di ciascun Consiglio.

"Vedi? Quindi se fai dimettere un sindaco leghista, il consiglio regionale deve rinominare senatore un altro sindaco leghista".
Vedo. E mi sembra assai bislacco. Inoltre siamo in Italia: metti che per eleggere, che so, Violante al Quirinale, manchi alla conta un senatore/sindaco di centrodestra che Violante assolutamente no. Lo fai dimettere. Vuoi non trovare un altro senatore/sindaco del centrodestra che invece Violante lo vuole? Sarà così difficile? I sindaci grillini sono sempre esattamente d'accordo su tutto? Se un giorno un sindaco grillino decade, lo puoi sostituire con Pizzarotti? tecnicamente la cosa si può fare o no? Non si sa. Forse che sì, forse che no.
"Ma quindi..."
"È una stronzata pazzesca, esatto".

Un altro (ottimo) motivo per votare no al referendum

(Gli altri motivi:
1. Non si riscrive la carta costituzionale col martello pneumatico.
2. Non si usa una brutta legge elettorale come moneta di scambio.
3. Non mi piacciono le riforme semipresidenziali.
4. Meglio un Renzi sconfitto oggi che un Renzi sconfitto domani
5. Mandare 21 sindaci al senato è una stronzata pazzesca).
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Meglio un Renzi sconfitto oggi (che un Salvini domani)

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(Anche Trump sembrava un candidato improbabile).
Molti sostenitori di questa riforma costituzionale sono più profondamente sostenitori di Renzi. Magari l'hanno letta, e la condividono in buona fede; ma la condividerebbero anche se fosse completamente diversa, purché l'avesse scritta Renzi. A volte ti chiedono di giudicarla "nel merito", senza preoccuparti di tutte le cose contingenti che le girano intorno - l'italicum, la carriera politica di Renzi, ecc. A volte sembrano più spaventati: ma insomma, ti dicono, non capisci che ne va della carriera di Renzi? E del destino dell'Italia tutta, naturalmente, che senza Renzi come farà? Ora, bisogna essere onesti: se mi guardo attorno, una figura che nel breve termine possa subentrare a Renzi e interpretare lo stesso ruolo in modo più progressista non la vedo. Alternative di sinistra a Renzi per parecchio ancora non ci saranno, mentre da destra arrivano nubi minacciose - magari non Salvini, ma prima o poi qualcosa erutterà. Mi è già capitato di votare Renzi in passato, perché in quel momento era il meno peggio, e potrà accadermi in futuro: specie se continua a essere l'unico intenzionato a gestire la crisi dei profughi in modo umano. Ma la sua riforma costituzionale non mi piace, e soprattutto credo che Renzi potrà sopravvivere a una sua eventuale sconfitta referendaria. Ho detto credo. Non ne sono sicuro.

Invece molti sostenitori di Renzi sembrano sicuri che un successo del Sì proietterà il loro beniamino verso un trionfo elettorale - dopodiché, senza l'impiccio degli imbarazzanti alleati di centrodestra, dei riottosi rimasugli del vecchio Pd e di un senato eletto ancora dai cittadini, finalmente potrà gestire l'Italia come vuole e non potrà che gestirla bene. Ora, questo futuro luminoso è appena a un passo da noi, ma solo se votiamo Sì al referendum: altrimenti tenebre, caos, Bersani e Matteo Salvini. Come tutte le prospettive apocalittiche, anche questa sembra più la proiezione di un desiderio che un'analisi realistica della situazione. Nessuno sa cosa succederà il quattro dicembre: se Renzi perde, potrebbe abbandonare il governo? È possibile (ma non esistono ancora alternative serie a lui, soprattutto nel suo partito).

Se invece vince, continuerà a vincere anche alle prossime elezioni politiche, al più tardi nella primavera 2018? Chi lo pensa sembra sottovalutare il logoramento inevitabile di chi si trova al governo, in anni di crisi. La vittoria dei brexiters, quella di Trump, sembrano puntare in quella direzione. La figura di Renzi appare già abbastanza logorata, eppure chi lo sostiene sembra voler credere che basta fargli vincere un referendum ogni tanto per ringiovanirlo. Soprattutto non mostrano di capire quello che a me sembra un dato di fatto: più vince, meno Renzi è sopportabile. Magari tra un mese vince di nuovo, ma a quel punto a chi non gli vuole bene sembrerà ancora più arrogante. E non può vincere sempre.

Mi rendo conto di essere, tra i sostenitori del No, un caso molto particolare: per molti si tratta solo di mandare a casa Renzi. Per me il contrario: forse è l'ultima occasione che ho per dare un segnale a Renzi senza mandarlo a casa. Molti sostenitori del Sì sanno benissimo che questa riforma contiene diverse magagne, ma se la fanno piacere perché, dopotutto, se si tratta di salvare Renzi si può anche vandalizzare qualche articolo di Costituzione. Ma rischiamo di ritrovarci nella situazione peggiore: costituzione vandalizzata e, due anni dopo, un Salvini o peggio al governo. Con maggioranza blindata per cinque anni. E un senato irrilevante. Questo per me è un altro grosso motivo per votare No.

(Gli altri motivi:
1. Non si riscrive la carta costituzionale col martello pneumatico.
2. Non si usa una brutta legge elettorale come moneta di scambio.
3. Non mi piacciono le riforme semipresidenziali.
4. Meglio un Renzi sconfitto oggi che un Renzi sconfitto domani).
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Sei sicuro che vuoi fare come gli americani, Matteo Renzi?

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Riportando tutto a casa, sarà interessante capire cosa succede ai renziani ora che Obama se ne va, e con lui forse si dissolve quel campo di distorsione che li ha portati a immaginare per l'Italia un assetto simil-presidenziale. Ovviamente c'è già in giro chi trae dalla vittoria di Trump auspici per la vittoria del Sì o del No al referendum: ognuno cerca di inquadrarla con le cornici che si trova in casa - due in particolare non le reggo in più, la cornicetta che si chiama "cambiamento" e quella che si chiama "anti-establishment". Non vogliono più dire nulla: quale cambiamento? Quale estabishment?

Io non ho la minima idea di chi vincerà il quattro dicembre, ma penso che la riforma sia brutta, e che fosse ancora più brutta nelle prime stesure, quando ancora il Senato delle Regioni era concepito come l'assurdo Senato Americano: quello in cui tutti gli Stati eleggono lo stesso numero di senatori, compreso il Vermont dove sono bastati 190.000 voti; in California ce ne sono voluti 4.800.000, venticinque volte tanto. Si tratta evidentemente di un sistema iniquo e arcaico, ma è difficile rinunciarvi dopo due secoli di successi; più difficile è capire perché in Italia qualcuno lo volesse introdurre, offrendo a trecentomila molisani la stessa rappresentanza di dieci milioni di lombardi - dopo vent'anni di leghismo! Ci scrissi qualcosa sul sito dell'Unità - pazzesco quel che pubblicava una volta il sito dell'Unità.

Poi magari la Boschi si accorse che qualcosa non andava e cambiò di nuovo la bozza; ma il solo fatto che l'abbiano proposta e divulgata lascia sgomenti - è come l'inglese di Renzi, anzi, molto peggio: da una parte sei contento che Renzi stia migliorando la sua pronunzia e che la Boschi abbia scoperto che in Italia la densità di popolazione varia sensibilmente di regione in regione; dall'altra è un po' imbarazzante veder crescere in diretta questi aspiranti riformatori e statisti: cioè per carità bravini, la stoffa c'è, ma non siamo a un talent show, bisognava arrivare già preparati.

È dal dopoguerra che gli italiani guardano con ammirazione agli USA - i democristiani più di altri. Fino a un certo punto qualsiasi ipotesi di modificare la costituzione in senso americano rimane comunque circoscritta alle fantasie di un Pannella o un Almirante. Quand'è che la passione per le cose di Washington si trasforma in una vera e propria tensione riformatrice che contagia persone altrimenti ragionevoli? Il 2008 mi sembra un ottimo termine a quo. A primavera, la sconfitta del Pd di Veltroni - non fu per la verità una sorpresa, quella volta forse persino i sondaggi ci azzeccarono: ma ci si aspettava senz'altro qualche punto percentuale di più e soprattutto nessuno immaginava la completa sparizione della sinistra. Delusi da un bipartitismo ancora molto imperfetto, diversi elettori italiani del PD si appassionano alla più emozionante campagna elettorale statunitense, quella con Obama prima contro la Cinton e poi in finale contro McCain (con la Palin spalla comica). C'è una vignetta dell'allora sconosciuto Makkox che esprime il lato patetico di quell'entusiasmo. L'ipotesi veltroniana, qui ho cercato di spiegarlo, proponeva una interiorizzazione dell'antiberlusconismo: visto che sconfiggere il Berlusconi reale sembrava per il momento impossibile, occorreva eliminare il berlusconismo dentro di noi. Smettere di nominarlo, smettere di pensarci, purificarsi. Guardare all'estero era l'unica possibilità, e all'estero quella di Obama era l'unica favola a lieto fine. Alcuni non hanno distolto lo sguardo per otto anni, e sì che molti dettagli non tornavano; le tensioni razziali, le stragi a mano armata a cui il POTUS ha assistito indignato e impotente, l'approccio un po' dilettantesco alla crisi in Medio Oriente, lo scandalo della NSA e il trattamento riservato ai whistleblower. Tutto questo non ha impedito a Obama di essere straordinariamente cool fino all'ultimo, e tanto bastava. Veniva bene in tutte le foto, faceva battute divertenti, è stato un presidente fantastico.

Negli stessi anni prende piede in Italia un timido tentativo di riformare l'Italia in senso semipresidenziale - senza avvertire i cittadini, il che è un problema a parte: cioè se almeno lo avessero detto chiaramente, si sarebbe potuta apprezzare la franchezza. Non è a dire il vero il primo e forse nemmeno il più sostanziale: già l'introduzione dell'uninominale del 1993 - e soprattutto l'abitudine di Berlusconi di mettere il suo cognome bene in evidenza sul simbolo - avevano preparato il terreno. Tuttora, chi si lamenta che Renzi non sia stato "eletto dal popolo", ha probabilmente in mente il modo in cui Berlusconi e Prodi sono usciti vincitori dalle elezioni tra '94 e '08: molti elettori avevano la sensazione di votare per l'inquilino di Palazzo Chigi oltre che per il parlamento (avevano torto?) La riforma Renzi e Boschi non fa che proseguire la tendenza: l'idea che la sera delle elezioni si debba conoscere il vincitore è una suggestione quasi hollywoodiana - se socchiudi gli occhi ti sembra di vedere i coriandoli rossi e blu. Renzi si allena a fare i discorsi, tutti lodano il suo Concession Speech alle primarie del 2012, sembra di stare in uno di quei videoclip di Vasco Rossi o Ligabue che giravano negli USA per darsi un tono - non importa dove, bastava un incrocio qualsiasi, il primo parcheggio con un concessionario appena fuori dall'aeroporto.

A un certo punto tutti si mettono a parlare di Accountability, che viene molto imprecisamente tradotto "votami per cinque anni e se faccio un disastro ne discuteremo poi". L'obiezione che l'Italia non è una repubblica presidenziale, che è il parlamento a nominare il capo del governo, a concedergli la fiducia e a potergliela ritirare in qualsiasi momento, viene liquidata con fastidio: roba da vecchi! Vecchi! Guarda invece Obama quanto è cool. Nel frattempo Obama aveva perso da un pezzo la maggioranza del Congresso, e dopo aver faticato a varare una riforma sanitaria, non ha più potuto far nulla per limitare la vendità delle armi da fuoco - solo dei discorsi accoratissimi all'indomani di ogni strage. Fantastici discorsi. Renzi & co. avranno senz'altro preso appunti.

Ieri un'elezione ha regalato a Trump la presidenza (malgrado la Clinton abbia avuto più voti) e un'ampia maggioranza al congresso e al senato. Per molti è stata una doccia freddissima; magari salutare. L'uomo più cool del mondo sta lasciando la Casa Bianca: forse è l'occasione per maturare un minimo distacco critico. Obama non ha rottamato la vecchia America; non ha mai avuto i numeri per farlo; per gran parte del suo doppio mandato è stato poco più che un'anatra zoppa. Adesso la palla passa a Trump, che avrà almeno all'inizio molto più margine d'azione. Certo, dopo quattro anni gli americani giudicheranno. Sono comunque notevoli i disastri che un capo del governo, attorniato da un parlamento plaudente, può fare in quattro anni. L'Italia è una cosa molto diversa, ma appunto: siamo sicuri di voler fare come loro o addirittura peggio di loro? Il fatto che presto o tardi qualche populista pericoloso possa aggiudicarsi il 41% dei suffragi è un buon motivo per regalargli un premio alla Camera, eliminargli il contrappeso del Senato, e aspettare cinque anni per vedere come va? Ammesso che gli americani si possano permettere questo tipo di accountability, noi possiamo?

Questo mi sembra un terzo buon motivo per votare No al referendum.

Gli altri motivi:

1. Non si riscrive la carta costituzionale col martello pneumatico.
2. Non si usa una brutta legge elettorale come moneta di scambio.
3. Non mi piacciono le riforme semipresidenziali.
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Votate sì al referendum perché dopo cambiamo l'italicum anche se non sappiamo ancora come però dai basta una crocetta e poi ci pensiamo

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E dunque ieri notte - forse era già stamattina - Matteo Orfini ha pubblicato un "Documento del Partito Democratico" in cui si mette per iscritto un impegno a modificare la legge elettorale che fino a qualche mese fa mezza Europa avrebbe dovuto copiarci. Siccome i tempi per discuterne prima del referendum non ci sono, a causa delle opposizioni (perfidissime queste opposizioni che si rifiutano di riaprire un dibattito a 29 giorni da una consultazione popolare), è chiaro che se ne riparlerà dopo - come aveva già promesso Renzi. Siccome la parola di Renzi in effetti è quello che è, il Partito Democratico sentiva la necessità di metterlo nero su bianco. La vera novità è che in calce a quel documento c'è la firma di un personaggio importante come Cuperlo, che a questo punto voterà Sì al riforma.

Il documento pubblicato da Orfini, definito "buono" da Orfini stesso, è promettente ma in realtà piuttosto vago; su un punto cruciale, il ballottaggio, addirittura evasivo. Ci sarà un "superamento" del ballottaggio: in che modo? Non c'è scritto, si vedrà, nel frattempo Cuperlo vota Sì, votatelo pure voi.

Non servivano lauree per notare quanto il ballottaggio dell'italicum fosse cosa maldestrissima, probabilmente incostituzionale, e senza precedenti noti al mondo: di solito i ballottaggi su scala nazionale si fanno per eleggere un presidente (e si parla quindi di repubblica presidenziale o almeno semipresidenziale), non per aggiungere un bonus di scranni in parlamento. Di solito, e questo è cruciale, questi tie-break scattano quando nessuno dei due contendenti ha ottenuto la quota 50%+1, che non è un livello arbitrario: è la definizione di maggioranza assoluta. Quello dell'italicum invece scattava a soglie bizzarre che il legislatore ha un po' esitato a fissare, prima 35 poi 37 poi 40, all'indomani delle elezioni europee che Renzi aveva appunto vinto col 40 - da questi dettagli vedi lo scout, sempre più in alto! Bene. Resta il fatto che il 40% non è la maggioranza assoluta; che vuoi vincere un premio senza essertelo meritato perché sai, la "governabilità".
(Questo pezzo se siete lettori abituali potete saltarlo, è la stessa lagna da quasi tre anni in qua).

Ora dicono che "superano" il ballottaggio: cosa vuole dire? Non si sa, votate sì e poi ce lo spiegano. Voglio sperare che non sia quel famoso "modello greco" che lo stesso Orfini aveva ripescato la scorsa estate, magari durante un'insolazione. Se invece trattasse davvero di quella roba, se ne riparlerà, ma finché non lo mettono per iscritto io non ci posso né voglio credere. Tiriamo ora un pietoso sipario sullo spettacolo di un partito che a un mese dal referendum non sa ancora che legge elettorale vuole, e probabilmente non lo saprà nemmeno dopo il referendum. Riassumiamo la situazione:

1. Per due, quasi tre anni, l'italicum è stato criticato fuori e dentro dal Pd. Renzi reagiva spiegando che era bellissimo e alla fine ci mise la fiducia.
2. Quando i sondaggi - sia elettorali che referendari - hanno cominciato a dirgli male, Renzi ha annunciato che se ne poteva riparlare: però dopo il referendum.
3. Adesso c'è un impegno scritto, che però equivale alla promessa di cui sopra: ci impegnamo a riparlarne, ma non spieghiamo come. "Supereremo" il ballottaggio. Adesso per favore ci votate la riforma?

C'è qualcosa di peggio di non saper scrivere una legge elettorale decente? Renzi e Orfini ci hanno mostrato che qualcosa di peggio c'è: usare la stessa indecente legge elettorale come moneta di scambio durante una campagna referendaria. Abbiamo fatto una legge che fa schifo; ora se per favore votate per noi siamo disponibili a cambiarla. Ma l'italicum non è una merce di scambio, l'italicum puzza e basta.

Non sarà il primo dei motivi per votare no al referendum, ma secondo me è un buon motivo. Tanto l'italicum lo cambierete lo stesso, perché è brutto, anticostituzionale e (soprattutto) non vi garantisce la vittoria. E se non lo cambierete voi, ci penserà il prossimo. I bluff in politica si possono anche apprezzare: quando c'è qualcuno che li sa fare, sono uno spettacolo. Non è il vostro caso.

Ricapitolando i miei motivi per votare no:
1. Non si riscrive la carta costituzionale col martello pneumatico.
2. Non si usa una brutta legge elettorale come moneta di scambio.
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Il referendum è un martello pneumatico

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Tra un mese si vota per cambiare la Costituzione, e a questo punto credo valga la pena di parlarne sul serio - con l'ambizione di aggiungere qualcosa non dico di originale, ma che non sia già stato ripetuto fino alla noia; e che magari possa risultare interessante anche a chi ha deciso di votare Sì (io voterò No).

Premessa: non sono un costituzionalista, così come non lo siete voi che leggerete. Il fatto che ci venga chiesta un'opinione su questioni così delicate era, fino a qualche tempo fa, piuttosto inusuale. Non c'è bisogno di un referendum confermativo per emendare la Costituzione: bastano i due terzi del parlamento. Renzi non li aveva e questo, a mio parere, avrebbe dovuto ridurlo a più miti consigli: d'altro canto prendersela con lui perché non è prudente è un po' come prendersela con la cicala che frinisce al solleone, non potrebbe fare silenzio? No, è una cicala, è fatta così. Renzi è fatto così, Renzi va veloce, si è ritrovato a capo di una maggioranza risicata di un parlamento eletto con una legge dichiarata anticostituzionale e invece di limitarsi a cambiarla alla svelta e ripassare la palla agli italiani, ha pensato di usare questa risicata maggioranza per riscrivere qualche articolo legge fondamentale dello Stato. Renzi quando se la vede brutta rilancia e alla fine va anche solo contro tutti - magari gli dice bene.

A questo punto però c'è una cosa che i suoi sostenitori dovrebbero concedere, e cioè che è di fatto impossibile separare Matteo Renzi dalla riforma che ha voluto mandare avanti a dispetto dei numeri in parlamento, dell'opportunità politica e, beh, anche un po' del buon senso. Chi ieri gli rimproverava di aver personalizzato la questione, stava appunto lamentandosi del canto della cicala: Renzi personalizza, è il suo stile, se non vuoi la personalizzazione non ti prendi Renzi. Chi oggi addirittura gli propone di dimettersi per dare un segno, a mio modesto parere, manifesta lievi segni di ubriachezza: anche se Renzi domani decidesse di aprire un chiringuito ai Caraibi, la legge che ha voluto rimarrebbe renziana al 100%; vi si trovano ancora dettagli che sono stati messi per iscritto per la prima volta durante qualche vecchia Leopolda che ho la sensazione di ricordare meglio io di molti renziani di recente conversione. Chi accusa gli alfieri del No di "avercela con Renzi" sembra aver perso un passaggio: certo che ce l'abbiamo con Renzi, se non ci piace la sua riforma. Certo, molti suoi fieri oppositori danno la sensazione di guardare più all'Italicum, o al Jobs Act, o alla Buona Scuola, che al testo della riforma. In coscienza non credo sia il mio caso: io voterò No perché questa riforma proprio non mi piace.

Ma è così strano che i cittadini, nel momento in cui si chiede loro un parere con quella cosa gigantesca che è il referendum, non riescano a separare il Renzi riformatore della Costituzione dal Renzi rottamatore dell'articolo 18 o da quello che prima mette la fiducia sull'Italicum perché è la legge elettorale più bella del mondo, e poi cambia idea? Non solo i cittadini non sono tutti algidi costituzionalisti, ma non è previsto che lo siano. Non è previsto che non siano faziosi, non è contemplato che siano tutti ben informati: non sono una corte di saggi, sono un'enorme massa di persone che processa le informazioni nel modo caotico e impreciso che ormai ben sappiamo. E appunto: siccome lo sappiamo da tempo che con le masse va così, e non è obbligatorio consultarle, se proprio decidiamo di farlo, avrà senso lamentarsi del fatto che il dibattito diventi rozzo? Il referendum è uno strumento rozzo per costituzione. Sì, no, bim bum, fine. Vale per il confermativo quello che qualche anno fa annotavo per l'abrogativo: non è un bisturi - non dai a una massa un bisturi, non lo sa maneggiare - al limite è una ruspa, un martello pneumatico.

Il referendum abrogativo è un diabolico arnese. Da una parte entra la volontà popolare. Ma può entrare solo con una pressione fortissima: il 50% degli aventi diritto più uno. È abbastanza chiaro che se scomodi la metà degli italiani, quello che salta fuori dovrebbe essere Legge: una di quelle scolpite nel marmo. 

In realtà però questo getto fortissimo di Volontà Popolare non può scrivere un testo di legge. Può solo esprimersi in due modi: Sì, o No. Ultimamente è anche peggio di così: il getto di Sì o No non viene usato per abbattere una legge intera, ma soltanto qualche frase qua e là; per modificare un tecnicismo, limare una asperità, cambiare senso a un paragrafo. Riparare un testo di legge con un referendum abrogativo è un po' come rimuovere una carie con un martello pneumatico: per funzionare funziona, ma ha qualche controindicazione.

Ecco se vi va il primo motivo per cui voto No: prima ancora di entrare nel merito, non mi va di cambiare la Costituzione col martello pneumatico. Non credo sia la più bella del mondo, ma nemmeno che sia possibile migliorarla in questo modo. Tutt'al più fai qualche sbrago creativo che renderà necessario un successivo e più mirato intervento. Tanto vale saltare il passaggio.
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